Ösga Vaxt (Strange Time)

Creato il 27 luglio 2014 da Frankviso
Huseyn Mehdiyev
Azerbaigian, 1996
83 minuti
Film avvolto da un'oscurità quasi unica questo Ösga Vaxt, talmente recondito da non trovarne informazioni dettagliate nemmeno nei siti esteri più specializzati. Il solo dato di una certa garanzia, per far fronte all'unica visione extra-festivaliera al momento esperibile (qui, in lingua originale e senza sottotitoli, ovviamente), risiede nel catalogo del 66° Festival di Locarno (o nelle pagine del sito ufficiale), dove il film è stato proiettato nella sezione Open Doors.

Nata con lo scopo di promuovere e sostenere le produzioni più indipendenti dei paesi del sud-est europa e che per il suo undicesimo anno, ha deciso di focalizzare l'attenzione sul Caucaso del Sud. Ed è ulteriormente raro, il film di Huseyn Mehdiyev, in quanto esempio di una cinematografia, quella azerbaigiana, della quale esistono pochissime tracce in confronto alle sue vicine di territorio (Georgia, Armenia), ma che stando alle parole dello specialista di Unifrance Joel Chapron, con il passare degli anni è riuscita comunque a farsi testimone di una forte imposizione nella società contemporanea, crescendo attraverso una varietà sempre maggiore di temi affrontati. Nel caso di Ösga Vaxt, ci si inoltra in habitat di genere; trattasi infatti di un drammone a sfondo psicologico, incentrato sulla vita di una giovane violinista che sacrifica la propria felicità (carriera, amore) per prendersi cura del padre (probabilmente un pittore, con la passione per l'ornitologia), ridotto su una sedia a rotelle a causa di un incidente che lo ha visto precipitare da un terrazzo. Ma con l'aggravarsi delle condizioni di salute di quest'ultimo, come da copione, a precipitare sarà la stessa stabilità mentale della figlia...
E' quindi un'irreversibile discesa nei sentieri della follia (che in certi momenti, assume quasi i contorni di un horror), quella delineata da Mehdiyev, intenzionato a seguire in maniera diligente le orme di un "cinema della paranoia", che strizza l'occhio sia a capolavori del genere quali Repulsion di Polanski (la claustrofobia dell'ambiente, che conduce a un inevitabile cedimento della psiche), sia ad autori del cinema est-europeo più recente, come il Sulev Keedus di Somnambuul (il cui delirante rapporto padre/figlia, sembra quasi una riproposizione, seppur descritto con toni più enfatici). Il regista ci indica la via di un declino esistenziale il cui incipt, girato a colori, fa già da preludio evidente al crollo psicologico della protagonista. Mentre la sua memoria inizia a ripercorrere gli avvenimenti vissuti (l'incidente; la partenza del futuro sposo; la rabbia - incisiva la sequenza del concerto - la nostalgia; i tentativi di corteggiamento del vicino), i quali ci vengono svelati attraverso un'interessante costruzione visiva nella quale l'immagine, data da una fotografia appositamente invecchiata e desatura (la sensazione è quella di assistere a un film degli anni sessanta), sembra ricomporsi gradualmente nel tempo fino a ricongiungersi con il presente. Per poi concretizzarsi in un epilogo (nuovamente a colori) dove ancora una volta, il binomio sesso/morte emerge preponderante (qualcosa di simile, accade ne Il Giardino di Cemento), ma che alla fine dei conti, nonostante l'ovvietà degli sviluppi (siamo pur sempre vincolati agli stilemi del classico), ha comunque il pregio di suscitare un impatto emozionale come pochi, riuscendo ad entusiasmare alla pari dei film succitati. Per il resto, vista l'irreperibilità stessa di info e sottotitoli, è alquanto arduo (se non impossibile) tentare di infiltrarsi oltre, in quelle pieghe più metafisiche che celano sicuramente la chiave di lettura più plausibile. Tipo l'ossessione per i volatili (i piccioni), autentici destabilizzatori del pensiero, e occupanti di ambienti/corpi (il pre-finale è sinistramente fulciano) o l'acqua che scorre (a sua volta ossessivamente e tarkovskjianamente presente, nella cinematografia dell'est), con i suoi giochi di luce riflessa, o reale che sia, e dalla quale la protagonista cerca di attingere costantemente. Al momento, quindi, non resta che affidarsi alle sensazioni finora acquisite, segnalando in questa sede, Ösga Vaxt, come un modello indicativo che possa estendersi (anche al di fuori della sua nazione d'appartenenza) a tutte quelle realtà cinematografiche a noi ancora sconosciute, e che raramente, hanno potuto godere della considerazione dei festival internazionali.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :