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Paco de Luna - Primo quadro TeleCittà 3

Da Gianbarly
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Ma, in realtà, anche tutta la faccenda dell'intervista mi è sempre apparsa assai confusa.
Le interviste, lì da noi, le aveva sempre fatte Xavier, un free-lance che collaborava da tempo con TeleCittà. Aveva un suo spazio fisso, il mercoledì in seconda serata. Era uno dei pochi programmi prodotti direttamente da noi che avesse un buon ascolto. Quindi Xavier era ben visto dalla direzione e questo suo appuntamento molto importante per la tele.
Si diceva che fosse il pupillo di Annamaria, tanto che, ad un certo punto, si sparse la voce che fossero amanti. Per qualche settimana non si parlò d’altro. L’Antonia, con la sua falcata, si era presa la briga di andare in giro per tutti i box a spargere la novella.
Maria da lontano la osservava attentamente, come a dirigerne le mosse. Ma quando fu poi interpellata disse:
“No! Non ci posso credere! Annamaria non è il tipo.”
E aggiunse subito, sottolineando le parole:
“ Anche se… beh, poi in fondo che male ci sarebbe? Purché tengano separate le loro manfrine dalle questioni di lavoro…”
Annamaria non ne parlò mai. Sembrava ignorare completamente quello che si diceva. Evitò accuratamente l’argomento, ma, in quei giorni, si diede da fare ad organizzare una cena di tutto lo staff.
“Giusto una cosina per stare un po’ tutti insieme, senza lo stress del lavoro!”
E si presentò con il marito cui restò appiccicata tutta la serata. Maria buttò lì qualche commento, senza però avere molto seguito.
Le chiacchiere smisero di colpo.
Comunque Xavier era assolutamente intoccabile e gli si perdonavano cose che per altri non sarebbero passate senza conseguenze. Come una certa tendenza a fare di testa sua, senza rispettare minimamente le esigenze della tele. Arrivava ad un’ora imprecisata del giorno, aereo come una folata di vento. Era come se, improvvisamente, si fossero spalancate tutte le finestre e il fuori si precipitasse dentro rimescolando gli odori. Faceva uno dei suoi larghi sorrisi, che si rifletteva nello scuro dei suoi occhi – forse un retaggio dei suoi avi mediorientali – e in quattro e quattr’otto se n’era già andato. La sua meta era la stanza di Paolo, cui consegnava il materiale, accompagnato da qualche frase smozzicata di istruzioni. E Paolo immancabilmente gli faceva un ottimo lavoro. La cosa funzionava e… pazienza se spesso arrivava all’ultimo tuffo, facendo scorrere un brivido freddo lungo la schiena di Maria, che era responsabile del palinsesto.
Ogni tanto spariva dalla circolazione. Tre, quattro, anche cinque settimane di seguito, senza che nessuno sapesse dov’era. Allora faceva in anticipo le sue interviste e ce le portava tutte assieme, prima di partire. In questo modo il programma era salvo e Annamaria poteva continuare a sostenerlo, ignorando le frecciate velenose di Maria.
Xavier mi aveva chiamato, una mattina, per chiedermi di passare da lui a prendere degli RVM. Li portai in studio, e mi stavo dirigendo verso la stanza di Paolo, quando incappai nelle Tre Grazie. Al solito, erano ferme in mezzo al corridoio lungo, a parlare tra di loro. L’Antonia era infervorata a spiegare chissà cosa, con Maria che cercava vanamente di arginarla. Annamaria le guardava con un certo distacco e, come mi vide passare, mi chiese secca:
“Dove vai, Franchino?”
“Porto gli RVM di Xavier a Paolo” dichiarai, sentendomi indagato. Poi aggiunsi:
“Sono tre, perché lui…, Xavier intendo, sta fuori per un po’”
“Sì, certo, me lo ha detto. Sta via per un mese”
Maria saltò subito su:
“Come, un mese? Ma resta scoperta una settimana!”
Annamaria, scrollò la testa con tranquillità:
“Vorrà dire che per una volta qualcun altro farà il suo programma. Che problema c’è?”
Maria sembrò ricevere uno schiaffo in pieno viso. Boccheggiò per un attimo, poi rianimandosi, disse tutto di un fiato:
“Certo che sì! Potrebbe farlo proprio il nostro Franchino!”
Questa volta lo schiaffo l’avevo preso io. Restai inebetito senza sapere cosa fare. Aprii e chiusi due o tre volte la bocca senza che ne uscisse alcun suono.
Ma nessuno se ne accorse. Le tre donne si guardavano a vicenda, aspettando la mossa successiva. Annamaria soppesò appena la proposta, poi disse:
“Ok. Mi sembra una cosa sensata. Sì. Lo farà Franchino” Si girò verso di me e disse, con un leggero tono canzonatorio:
“Così ci farai vedere quello di cui sei capace, vero?”.
Annuii, ma dentro di me avevo una grande confusione.
Quella sera Paolo si incaricò di diradarmela almeno un poco. Uscivo spesso con lui, ci stavo bene insieme. Andavamo a scoprire locali sempre nuovi, e lui mi introduceva ai misteri di questo o quell’altro ambiente. Sapeva una infinità di cose, molte più di me, pur essendo solo di poco più grande. Ed io lo stavo a sentire, grato di avere una fonte preziosa da cui imparare.
“Cerca di seguirmi” disse, guardandomi fisso negli occhi, come quando voleva farmi assimilare un concetto.
“Xavier è il pupillo di Annamaria”
“Questo lo so!” protestai.
“Sì, ma lei lo deve continuamente difendere, perché lì dentro c’è un sacco di gente a cui quel programma fa gola. Maria non perde occasione per cercare di mettere Xavier in cattiva luce!”
“Dici che è stata lei a mettere in giro quelle voci?”
“Tu che ne dici?” Poi, senza aspettare la mia risposta:
“Maria sta aspettando da tempo l’occasione per far fuori Xavier e mettere al suo posto Luciano… Capito?”
“Luciano, quello della sportiva…?”
“Proprio lui. Quei due hanno un patto. Forse hanno avuto anche una storia. In ogni caso fanno fronte comune in tutte le situazioni.”
Mi diede qualche secondo per afferrare la situazione e poi:
“E tu oggi le hai portato quell’occasione… Solo che Luciano si è messo momentaneamente fuori gioco da solo, pensando bene di rompersi una gamba proprio in questi giorni!”
“E… ma io cosa c’entro?”
“Franco! Benedetto testone! Quando Annamaria ha proposto di dare il programma – solo per una volta! – a qualcun altro, Maria non solo non ne ha potuto approfittare, ma ha anche subodorato immediatamente il pericolo: se lasciava ad Annamaria la possibilità di indicare qualcuno per sostituire Xavier, - qualcuno dei soliti nomi, voglio dire – Luciano sarebbe stato bruciato per sempre!”
“Ho capito” sospirai “ha fatto il mio nome perché non conto niente lì dentro!”
Paolo mi diede un buffetto sincero “E Annamaria ha accettato perché, se la cosa va male, la colpa sarà di Maria, non sua. Ma tu vedila in un altro modo: in fondo hai la tua buona occasione!”
Passai la settimana seguente in uno stato di tranche. L’incarico mi piaceva, e volevo fare bella figura. Ma ero intimorito dall’ombra di Xavier e da tutte quelle trame che mi aveva svelato Paolo. E non sapevo risolvermi a lavorare al progetto.
Poi, un giorno che ero andato all’aeroporto a prendere un’ospite che arrivava da fuori, incrociai Xavier che si dirigeva al settore Partenze.
Lo chiamai.
“Ciao, Franchino, che fai qui?” Poi di seguito “Sai, sono in partenza per il Centramerica! Stasera sono a Managua!”
Gli indicai il bar. Si girò, approvando:
“Un caffè? Ma sì, ho ancora qualche minuto!”
Ci sedemmo. Mentre ordinavo i caffè lui sistemò il suo numeroso bagaglio intorno al nostro tavolino. Lo osservavo di sbieco, ringraziando il cielo per quell’occasione insperata.
“Sai Franchino, è la terza volta che vado laggiù! Ah, la cosa più bella del mondo!” I suoi occhi brillavano in maniera particolare “Ho un contratto. Faccio ricognizioni aeree”
Vide la mia perplessità.
“No, no. Niente interviste, laggiù. Solo io, il pilota e la giungla. Voliamo per ore sopra gli alberi, e spesso senza scambiarci che qualche cenno. Una meraviglia, ti dico!”
Bevve un po’ di caffè.
“C’è una compagnia, una grossa compagnia di legnami che mi paga”
Mi guardò e io mi sentivo come un bambino a cui un adulto rivela una parte di quel mondo che solo in seguito sarebbe stato anche suo.
“Io devo fare delle riprese. Dall’alto, è ovvio. Loro devono sapere quanti alberi ci sono in una determinata zona, di che tipo, eccetera… Insomma, un sacco di informazioni, per poi poter fare i loro conti. E io gli filmo tutto. Non ti credere, non è mica facile! E no,caro mio. Bisogna avere occhio! Volare bassi e stare attenti alla luce, alle vibrazioni. Eh! Un sacco di cose!”
Si fermò un attimo, sprofondandosi completamente nella poltroncina.
Deglutii, poi feci un respiro profondo.
“Senti…”
Lui proruppe una risata, mentre con la mano faceva il verso dell’aereo, mimando picchiate, risalite e cabrate.
Andò avanti per qualche secondo, poi mi guardò.
“Sai, io devo riprendere anche le aree dove hanno già tagliato gli alberi. Dovresti vedere con i tuoi occhi. Distese e distese di alberi, senza poter vedere un centimetro di terra… e poi di colpo, il nulla! Grandi buchi quadrati, chilometri di terreno senza più nessuna forma di vita. Loro, quelli della compagnia, mi hanno incaricato soprattutto per questo. Devono documentare allo Stato quello che fanno. Quanti alberi abbattono, dove, com’è la situazione dopo. Hanno dei vincoli precisi, sai. Possono abbattere solo a determinate condizioni. E poi devono immediatamente reimpiantare lo stesso numero di alberi. Gli altri, quelli del governo, intendo, non ci vanno mica laggiù, non ci pensano nemmeno. Troppo scomodo!. Così è la compagnia a dover documentare che tutto sia fatto secondo gli accordi”
Mi guardò con aria grave. Poi scoppiò nuovamente a ridere:
“E io devo fare in modo che il governo abbia le informazioni nel modo giusto! Giusto per loro, ovvio!” Finì il suo caffè.
“Se la guardi bene, è divertente! Situazione fantastica! Va trovato il modo di far apparire piccole le aree tagliate e grandi quelle ancora vergini… Bisogna fare delle riprese radenti, con il sole dal lato giusto. Allora io dico al pilota di andare più giù, sempre più vicino a terra. Lui bestemmia, maledicendo il giorno che mi ha incontrato, ma poi fa esattamente quello che gli chiedo. Uno spasso!”
“Ma..” provai a interloquire.
Lui continuò, lieve come sempre:
“La volta scorsa dovevo fare in modo che gli alberi ripiantati sembrassero veramente tanti, e fitti. Quelli dl governo rompevano le palle per via di certe voci messe in giro dai soliti mestatori. Abbiamo provato più e più volte, ma il risultato era scadente. Quelli della compagnia si sono dimostrati pazienti e mi incoraggiavano a fare meglio. Allora ho chiesto al pilota di volare ancora più in basso, restando sempre al margine della zona tagliata. Ho impostato la camera nel modo giusto, ed è venuta una ripresa con i fiocchi! - Stai giù – gli dicevo – stai giù! Ancora un po’! -. Alla fine ha ripreso quota così vicino agli alberi che abbiamo toccato delle fronde con la punta di un’ala!”
Poco dopo ci siamo salutati, senza che io avessi trovato il coraggio di dirgli che avevano affidato a me l’incarico di sostituirlo.

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