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Paco de luna - Terzo quadro [gianbarly] Incontri

Da Gianbarly

Paco de luna - Terzo quadro [gianbarly] Incontri

L'incontro - Clod


Avevo un disperato bisogno di riflettere. Intorno a me le cose simuovevano con una velocità impressionante ed io non riuscivo a capire conchiarezza quello che avrei dovuto fare.Quel pomeriggio, approfittando dell’ennesima commissione che l’Antonia miaveva affibbiato, mi ero preso una pausa. Non mi pesava la sua espressione diacida soddisfazione nei miei confronti che aveva da quando alla tele eranocambiati gli equilibri. In realtà la cosa mi lasciava indifferente perché nonriuscivo a capire come una persona potesse cambiare così il proprioatteggiamento, mostrando più o meno simpatia per qualcuno in base ad astrusiequilibri di potere. Non mi capacitavo che qualcuno potesse dar peso a cosecosì meschine. Da parte mia mi limitavo semplicemente a fare il mio lavoro,schivando quanto più possibile le beghe interne alla redazione.
Mi pesava piuttosto il senso di frustrazione che mi stava attanagliando.Cercavo di mettere a fuoco il motivo di tanta insoddisfazione, ma con scarsirisultati. Espletata in fretta la commissione mi ero ripromesso di fare unapasseggiata sul lungofiume, in cerca di un po’ di tranquillità. Avevo evitatoappositamente la parte che ero solito frequentare e mi ero spostato verso iquartieri ottocenteschi, dove i grandi palazzi dalle severe facciate istoriateed i giganteschi platani che si protendevano sul fiume mi avrebbero dovuto trasmettereun po’ di tranquillità. Invece ero agitato, non riuscivo a fermarmi asufficienza su un singolo fatto. Avevo un terribile affollamento di pensieri ele immagini si sovrapponevano le une alle altre impedendomi di trovare un po’di quiete.
Un improvviso rumore mi fece trasalire. Il rombo di una moto che decelerarabbiosamente mi fece voltare. Riconobbi al volo la Husqvarna  di E che era salito con noncuranza sulmarciapiede e si stava fermando al mio fianco. Messo un piede a terra, E sisfilò il casco e mi guardò con il suo solito sorriso ironico. Istintivamentescrollò la testa per sistemare i suoi boccoli rasta. Debbo dire che cosìfasciato nella tuta di pelle, a cavalcioni del suo mezzo, sembrava proprio uncavaliere sbucato da una favola. Un angelo venuto dal cielo a proteggere ipoveri mortali. Provai una fitta acuta.“Eccoti qua” mi disse“Ciao” risposi di controvoglia, aspettando.Lui mi squadrò per un secondo, poi, come preso da un pensiero improvviso:“Già che ci sei, sai mica dov’è Paolo?”“No, non ne ho idea. Ma perché non lo cerchi al cellulare?”“Già fatto” disse alzando le spalle “ma non importa”Ebbi però la sensazione che invece gliene importasse e come. Era agitato,anche se cercava di non darlo a vedere.Mi squadrò ancora e poi mi disse“Via Franchino, ti lascio ai tuoi pensieri”Si rimise il casco e si dileguò così come era venuto.
Il fatto che ancora una volta mi avesse letto così facilmente nel cuore,non fece che aumentare la mia agitazione. Ripresi a camminare cercando discacciare l’immagine di lui in sella alla moto. Mi dava fastidio. Mi sforzavodi pensare a me stesso ed invece vedevo Paco alle prese con i drammi della suaarte, poi il bel volto di Lourdes che mi chiamava al mio dovere nei suoiconfronti. Per cercare di spezzare quel circolo mi imposi di osservare conattenzione quello che mi stava intorno. Ero all’altezza del Circolo Canottieri.Dall’altro lato della strada un imponente palazzo color ocra risaltava suquelli vicini. Al di sopra del portone, due statue monumentali sorreggevano unbovindo. Alcune finestre erano aperte e lasciavano intravedere un ampio salonecon i soffitti mirabilmente decorati. Mi domandavo se tanta magnificenza fossedi un privato o appartenesse ad una banca o qualche altra ricca società. Sullamia sinistra il fiume si mostrava particolarmente tranquillo ed i canottieristavano uscendo con i loro mezzi per gli allenamenti pomeridiani. Miritornarono in mente i giorni dell’alluvione, quando avevo cominciato alavorare alla tele. Non era passato molto tempo da allora, ma mi sembrava diessere un’altra persona. Solo che non riuscivo a capire se migliore o peggiore.C’era qualcosa che non funzionava, me lo sentivo. Ero in collera con me stessoperché non riuscivo a identificarne il motivo. I miei pensieri continuavano agirare a vuoto. Osservavo quelli che facevano jogging sull’ampio lungofiume conle cuffiette d’ordinanza, chiusi in una bolla di tranquillità, dove il tempoera scandito dal battere ritmico dei piedi sul selciato. Provavo un po’ diinvidia perché era quello di cui avrei avuto bisogno io, in quel momento. Farejogging non mi era mai piaciuto, ma ora avrei dato non so cosa per una qualcheattività fisica su cui concentrarmi in modo da sfuggire ai miei tormenti di cuinon riuscivo a mettere a fuoco il motivo.
Ma il motivo, in carne ed ossa, mi si parò davanti all’improvviso.“Sapevo di trovarti qui” mi disse Fimère squadrandomi severa. Era comparsa dal nulla e mi si era piantata davanti con l’aria di chi nonammette repliche. Non provai nemmeno a mostrarmi sorpreso. Evidentemente erouna persona prevedibile, anche quando credevo di fare qualcosa di insolito,fuori dagli schemi.Guardai senza dire una parola la sua bella figura che esigeva unaspiegazione.“Allora?”Io una spiegazione non ce l’avevo. Preso così, alla sprovvista, nonriuscivo nemmeno a valutare se e quanto mi piacesse. Provavo solo un senso opprimentedi vergogna, la sensazione di aver fatto qualcosa di orribile, di averla feritasenza alcun motivo. La tensione sul suo volto ne risaltava la bellezza e midiceva quanto lei fosse viva e determinata. Io invece ero totalmente passivo,incapace anche solo di scusarmi per non averla più chiamata. Per una frazionedi secondo mi passò per la mente che avrei dovuto provare a reggere ilconfronto. Nella mia situazione E le avrebbe fatto capire con una mezza fraseche, se non l’aveva più cercata, era perché non gli interessava. Se la sarebbecavata da uomo. Quel pensiero non fece altro che aumentare il mio senso divergogna. Cercavo di articolare una qualche parola ma non ci riuscivo.Lei aspettò ancora qualche secondo. Per un tempo che a me sembravainfinito restò ferma, protesa verso di me in un atteggiamento di sfida. Poiiniziò a scrollare la testa mentre un’espressione di disgusto le si andavaformando in viso. Alzò appena le spalle e poi si voltò lentamenteallontanandosi senza fretta. Con me aveva chiuso.

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