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Padre, marito, ceralacca e lettere: ciò che rimane di te

Da Andrea Venturotti

Buongiorno a tutti cari lettori e un felice benvenuto al nostro appuntamento con la rubrica settimanale 5 Words for one story Come al solito, vi presento le parole di questa settimana:

Dopoguerra, cantautore, cielo, america, felicità


“Mamma, puoi raccontarmi chi era mio papà? Ho bisogno di sapere, te ne prego”

Cosi inizia la storia di ciò che è successo quel giorno.

Aprii la porta e tutto mi sarei aspettata, durante un temporale di fine aprile, di ricevere la visita di due membri dell’esercito francese di nero vestiti con la faccia pallida e la classica frase che abbiamo sempre sperato di non dover mai sentire: Suo marito è un eroe. La sua salma verrà rimpatriata la settimana prossima.Possa la sua anima riposare in pace. Ci dispiace. Mi consegnarono una lettera e una scatola con gli averi di chi non c’è più. Aprii lentamente la lettera con il sigillo statale di ceralacca rossa. Le mie lacrime disegnavano i contorni dei miei zigomi scavati dalla fame e dall’angoscia. Sapevo già cosa c’era scritto li dentro. La aprii per leggere l’ovvietà. Era una lettera riportante i frammenti della ceralacca spezzata che sembrava sembrava grondare sangue. Il suo sangue. Presi la scatola e mi preparai a toccare le ultime cose che lui stesso aveva visto e fatto sue prima di partire per quella che sarebbe stata la sua ultima missione. Peccato che lui non lo sapesse. Presi la carta d’identità. Stoffa blu con il timbro statale, il numero di matricola, la sua foto, il suo nome. Eh si… sei proprio tu, mi dissi con quel senso di vuoto che ti prende il cuore. Presi la scatola e mi venne l’idea di buttarla nel camino che avevo acceso per asciugare i panni. Ero arrabbiata con lui perchè mi aveva promesso che sarebbe tornato. Vincente o perdente poco importava. Avrei preferito stare sotto il comando nazista, ma con lui al mio fianco che non libera, ma sola in questo infinito spazio che noi non solo chiamavamo Parigi, ma anche e sopratutto casa. Rinsavii e pensai che avrei dovuto mettere tutte le sue cose apposto per poi passarle a te, quando saresti cresciuto, per rispondere proprio a questa tua domanda. Poco importa se su quella lettera c’è scritto che è un eroe di guerra. Lui era Jean, buon padre di famiglia, ottimo marito che amava e rispettava sua moglie non che barbiere. Lo hanno chiamato alle armi perchè c’era bisogno di tutti, ma nessuno di quelli in gendarmeria si è preoccupato di cosa avevo bisogno io, di cosa avevi bisogno tu e di cosa aveva bisogno lui. E’partito con una lettera di comando in tasca ed è tornata solo un’altra lettera. Presi la scatola e cominciai a visionare le poche cose che c’erano, alternando sorrisi che portavano ricordi a lacrime che portano nient’altro che odio e disgusto. C’erano le sue scarpe buone, quelle che si era portato per quando avrebbe fatto la marcia trionfale sotto l’arco sugli Champs-Élysées. Sono ancora lucide come il giorno che è partito. Non hai idea di quanto avrei voluto lucidargliele. Dentro alla scatola c’erano anche la tua collana con lo stemma di famiglia che stai portando al collo da tutti questi anni e il suo orologio a cipolla con la nostra foto da novelli sposi. Quello l’ho tenuto per me, guardando l’ora ogni mattina, passando la mano sotto al cuscino per trovarlo e guardare le lancette prima e la foto poi. Ci sono due cartoline con delle foto che ti aveva mandato a te, eccole qua, fanne ciò che vuoi, avrebbe voluto che le tenessi tu. Adesso che sei più grande sono sicura che le saprai conservare a dovere. C’era infine una lettera con il mio nome sopra, si vedeva dalla chiusura e dalla cura con la quale l’ha piegata che non è la tipica lettera che i soldati si mettono addosso inserendo le loro ultime parole in caso di morte. lui era uno che voleva tornare a casa vivo e quel tipo di lettera non l’ha mai presa in considerazione. La lettera riportava la sua scrittura con le sue ultime memorie:

2 aprile, 1945 Cara Madeleine,  Ti scrivo per l’ultima volta perchè so che tra poco tornerò a casa.  Ci siamo amore mio, la guerra è quasi finita e Parigi non è caduta.  Scusa per la scrittura tremolante ma sono davvero emozionato. Qua l’umore fino a poco tempo fa era sotto le scarpe e credimi che qua, le suole reggono ben poco queste botte.   Qui siamo tutti preoccupati perchè domani mattina ci sarà la più grande offensiva da parte della Francia per rispedire a casa quei nazisti senza cuore. La Francia è in ginocchio ma i miei compagni francesi ed io, fino a ieri, lo eravamo di più.  Se penso all’immagine che è dentro alla mia testa da pochi giorni, impazzisco di orgoglio e il cuore mi batte oltre il suo limite.  Mi trovavo nell’accampamento di fronte alla tenda che funge da ospedale e quando ci tocca dormire li, nessuno chiude mai occhio perchè le urla dei feriti sono troppo atroci per non essere ascoltate. Qua la vita non è facile. Arriva poco cibo, poca acqua e l’igiene non è sicuramente all’altezza dalla nostra casa. Non hai idea di quanto mi manchi l’odore delle rose che abbiamo in giardino e il verso del gallo. Qua ci sono solo squilli di tromba, gemiti, qualche urrà e tante lacrime. Lacrime di sofferenza, di malinconia e di nostalgia. Non vedo l’ora che sia domani. Li cacciamo via questi nazisti amore mio! Come ti stavo dicendo, sono orgoglioso della mia patria, perchè degli uomini cosi valorosi, come ne ho conosciuti in questa guerra, non ne nascono sicuramente in nessun’altra nazione. Eravamo tutti svegli l’altra notte e nessuno parlava. Ci guardavamo negli occhi e chinavamo il capo perchè eravamo consci di non averne davvero più. Quando sai di aver dato tutto e capisci che ancora non hai finito, ti senti morto dentro e questa sensazione auguro a nostro figlio di non sentirla mai in vita sua. Il nostro morale era a terra, come ti dicevo, fino a che non entrò un secondo reggimento dentro la tenda per riposarsi durante quella notte dall’animo ghiacciato. Arrivarono e portarono buone notizie. Forse quando ti arriverà questa lettera lo saprai già da sola, ma te lo voglio dire lo stesso. I tedeschi sono in seria difficoltà e sono ad un passo dal perdere la guerra. Eravamo tutti stanchi e nessuno aveva nemmeno la forza di gridare un urrà come si deve. Fino a quando un ragazzo poco più che ventenne non tirò fuori una chitarra e si presentò a noi poveri corpi stanchi come cantautore ufficiale del reggimento, votato all’unanimità da quei signori che aveva alle spalle. Sorrise mentre lo diceva, indicando i suoi compagni d’armi. Continuò dicendo, sempre in tono ironico,con la spavalderia che solo un ventenne può avere, che la prossima canzone era un inedito che tanto sarebbe piaciuto ai prigionieri tedeschi che erano incatenati fuori al freddo e all’umido. Finì con una risata indirizzata proprio ai ceppi dov’erano legati quei crucchi che avrebbero trovato la morte alla prossima alba. Sai, il nostro generale ama le esecuzioni romantiche, come le chiama lui. Il ragazzo intonò la sua canzone e raccontava di noi francesi. Diceva più o meno “la Francia mai morirà, con un colpo di coda s’alzerà e nella guerra trionferà”. La canzone in quel momento era cosi orecchiabile e ben congegnata che i suoi compagni, forse abituati a quel tipo di musica, gli andarono subito dietro, uno dopo l’altro, ripetendo e canticchiando le parole che il ragazzo diceva, aggiungendo una voce, e poi un altra e un altra ancora. Nel tendone si respirava finalmente un’aria di Francia. Quella che tanto mi mancava. Mi alzai dal letto, e anche io, con la voce totalmente fuori dal coro, cominciai a cantare le parole che piano piano imparavo strofa dopo strofa. Mi seguirono anche i miei compagni e fu cosi che in cinque minuti ci trovammo da essere corpi freddi e morti, ad un unica figura che non posso chiamare se non in altro modo che “Francia”. Eravamo davvero la Francia. Eravamo solo una minima parte di quelli che poi domani scaglieranno l’ultimo schiaffo alla Germania, ma sembrava che dentro quel tendone ci fossero davvero centomila uomini.  Ti saluto dolce amore mio, la Francia trionferà ed io tornerò da nostro figlio Paul come un vero eroe. Non vedo l’ora che cresca per raccontargli tutte queste storie.  Mi metto a letto e cerco di chiudere occhio, domani è il mio ultimo giorno qua.  La nostra vita rinizia ufficialmente tra quarantotto ore. Ti amo.

Scoppiai in lacrime quel giorno nel leggere queste parole tesoro mio. Da li a poco avrei avuto una crisi che non scorderò mai più in vita mia. Urlai internamente, con il cuore a pezzi e un principio di svenimento per il troppo dolore provato, inveii contro qualcuno o qualcosa che ancora oggi non saprei indicare: “Ho sentito che la Francia era stata liberata alla radio qualche settimana fa! Come è possibile tutto questo?! Perchè non ci sei più!? Tu sei stato la Francia in guerra, ma per me sei sempre stato il mio Paul! Non è possibile che tu te ne sia andato cosi! Non voglio che questa lettera sia il mio ultimo ricordo di te! Dicono alla radio che l’America del Nord ha dato l’ultimo schiaffo ai giapponesi ed ha liberato i campi di Auschwitz in Germania, dicono che ormai sia praticamente tutto finito! Qua la vita non è facile per me Paul! Siamo nell’imminente dopoguerra e tutto pare tranne che bello! La guerra che tu hai combattuto, anche se vinta, ha portato disgrazie ovunque e qua non c’è nessuno felice! Vorrei averti accanto amore mio, vorrei stare tra le tue braccia in mezzo a questa città ferita mentre guardo il cielo con un barlume di speranza, sognando una felicità per noi e nostro figlio. Adesso tutto sembra pura utopia…”

Padre, marito, ceralacca e lettere: ciò che rimane di te

Ricorda Paul che se adesso, quasi vent’anni dopo, siamo liberi, in pace e felici, lo dobbiamo solo a tuo padre. Jean non è l’eroe di guerra della Francia. Jean è il nostro eroe. E lo sarà per sempre.

Richiudetti la lettera, guardai Paul, gli diedi un bacio sulla fronte e condivisi per la prima volta un peso che non riuscivo più a portare da sola. Jean vive dentro di me e adesso anche dentro Paul. Le storie sono fatte per essere raccontate. Deve essere orgoglioso di dire chi era davvero suo padre Jean Peteque!

Perdere un soldato equivale a strappare una piastrina dal suo collo, recapitare le proprie cose a casa e reclutarne un altro. Perdere un marito vuol dire andare avanti da sola, nella speranza di ritrovare un amore che non sarà più quello che si è provato fino ad ora Perdere un padre significa perdere una delle poche persone che ti amerebbero davvero nella vita nonostante ciò che siete o ciò che non sarete. Amate i vostri padri. Non importa chi sono o cosa facciano nella vita. Sono i vostri padri. E tutti i padri, ognuno a loro modo, sono i nostri eroi più grandi. Gli eroi di tutti i giorni

-Lucky-

Se vuoi leggere le altre storie della rubrica, clicca qua, ti farò rintracciare tutte le storie di “5 words for one story”. Arrivederci alla prossima storia.


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