Quando padre Pepe arriva nella casa Santa Marta, in Vaticano, in febbraio di quest’anno, per essere ricevuto da Papa Francesco, non s’aspetta tanta disponibilità e immediatezza alla sua richiesta di rispondere ai quesiti degli abitanti di villa La Càrcova
Una villa miseria alla periferia di Buenos Aires,una come tante laggiù, di cui è divenuto parroco che è poco.
I parrocchiani, infatti, informati del suo viaggio in Italia, lo avevano incaricato, ancora un mese prima, di farsi latore di alcuni loro interrogativi al pontefice romano.
Molti di essi ricordavano e ricordano bene l’arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, oggi Papa, che risiede all’ombra del cupolone del Bernini.
Una città che probabilmente loro non vedranno mai, se non forse alla tivù.
Un argentino come loro a Roma, in Italia, in Vaticano, che, quando era laggiù non disdegnava mai, quando tempo e impegni glielo permettevano, di fare una visita, di portare un piccolo aiuto, una parola d’incoraggiamento o di conforto, a seconda delle situazioni e delle circostanze.
E così, un bel giorno di gennaio, quando da noi l’inverno picchia forte con pioggia, vento e neve e, a Buenos Aires invece c’è caldo da svenire nelle anguste casupole rabberciate, come è nelle villas, e la fronte di uomini, donne, anziani e bambini continua a grondare sudore, al termine di una festa popolare, con tanto di consueta processione, nell’euforia del momento ludico, nasce all’improvviso l’idea di scrivere al Papa.
E di scrivere, per giunta, collettivamente.
Detto, fatto. Ci si raduna nei giorni successivi. Si scrive. E si consegna il manoscritto a Pepe.
Papa Francesco, da ospite cortese qual è, seduto dinanzi a padre Pepe, cioè a José Maria di Paola, che ben conosce da anni, quel prete che da sempre ama formare i giovani secondo gli insegnamenti di Don Bosco (nella villa La Càrcova, la parrocchia, che è di recente costruzione, è dedicata appunto a San Giovanni Bosco), inizia subito, nell’appartamentino di Santa Marta, a dare le sue risposte, parlando al microfono di un piccolo registratore, che il sacerdote gli porge.
Gli si chiede da lontano (o meglio da parte dei lontani che vogliono sentirlo vicino) di spiegare la differenza tra centro e periferia dal momento che lui, Francesco, essi dicono, fa molto uso di questa parola e nelle omelie e nelle udienze. E non soltanto.
E in questo il Papa è chiarissimo.
Sottolinea, senza indugio, spiegandosi pacatamente, che è dalla periferia più che dal centro che si riesce a comprendere meglio la veridicità del reale.
E non si limita, come si potrebbe pensare, soltanto ad una spiegazione di carattere storico-sociologica.
Pure per conoscere l’uomo- aggiunge Papa Francesco - dobbiamo guardare alla periferia esistenziale, a quella cioè che è la realtà vera del suo pensiero.
La centralità potrebbe essere ingannevole. Potrebbe abbagliare. Mandare segnali sbagliati. Potrebbe mostrare ciò che non è.
I timori, che investono la società odierna, specie da parte dei padri di famiglia per i propri figli, come può essere, ad esempio, il pericolo della droga, triste realtà dilagante da tempo ormai anche in Argentina così come in altre parti del mondo, vanno superati privilegiando- chiarisce il pontefice – l’appartenenza alla famiglia.
Usa il termine “focolare” il Papa. Ma intende quella vicinanza affettiva, quel calore appunto, che i genitori devono far sentire ai propri figli e quell’amore e quel rispetto che i figli assolutamente devono, a loro volta, ai genitori.
Bisogna avere un pensiero positivo- continua- anche nelle cadute.
Se cadute ci sono. E possono esserci. Perché Dio non permette mai il trionfo del male. E lo Spirito Santo opera per cambiare le coscienze anche quando a noi ciò non sembra. E’ una questione di fede. E la fede-precisa- è un dono. E come tale ciascuno deve farlo fruttare. Tenere in conto.
E, perché così sia,occorre guardare di continuo agli insegnamenti del Vangelo. Imparare, inoltre, ad accettare gli altri anche quando la pensano diversamente da noi.
Infatti saper ascoltare, significa, in certe occasioni, imparare.
I momenti di scoraggiamento e di difficoltà sono per tutti- dice Papa Francesco.
E non esclude neanche la propria personale esperienza di uomo e di peccatore come gli altri. Un peccatore, però, che ha consapevolezza della propria condizione e che sa che, per venirne fuori, lo può fare solo con l’aiuto di Dio.
E sempre ai giovani ,che confondono la fantasia (che è cosa buona in quanto è creatività) con il mondo virtuale, in cui gioco-forza essi sono immersi per via dei tempi che viviamo (internet e dintorni), il Papa fa capire che tante informazioni, quelle che si recepiscono dal web, senza la consapevolezza d’essere persone vive e vere, in carne e ossa, e soprattutto di avere il dono di saper amare con intelligenza , cuore e mani, non servono a nessuno.
Non arrecano beneficio alcuno.
Non ci vogliono nel mondo d’oggi “giovani-museo”, che collezionano informazioni-dice.
C’è bisogno semmai di persone capaci di portare avanti la propria vita con concretezza. Facendo bene il bene per sé e, soprattutto, il bene degli altri e per gli altri.
Rimanere avvinghiati al piano del virtuale è -conclude Papa Francesco - essere come una testa senza corpo.
Quanto alla politica argentina e alle prossime elezioni, Papa Bergoglio, senza peli sulla lingua, fa sapere ai suoi amici lontani che l’indipendenza economica è indispensabile in campagna elettorale.
Se finanziamento ci deve essere, perché tutto certamente ha un costo, che sia pubblico. E soprattutto che non venga mai meno la trasparenza. Che si sappia, insomma, a chi si dà il proprio voto.
Infine, alla richiesta di un possibile viaggio di ritorno in Argentina, il Papa indica agli amici di laggiù l’anno 2016 ma non dà una data precisa .Ed è naturale che sia così in quanto gli impegni di un Papa riguardano anche altri viaggi e altri Paesi.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)