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Padrini della patria: Mariano Perris

Creato il 10 novembre 2012 da Casarrubea
Claudia Cernigoi

Claudia Cernigoi

Siamo lieti di pubblicare questo articolo di Claudia Cernigoi, studiosa triestina di grande impegno, della quale sta per uscire un approfondito lavoro sull’Ispettorato speciale italiano operante nelle zone occupate della ex Jugoslavia.

Tra il 1942 e il 1945 operò al confine orientale d’Italia un corpo speciale di polizia, l’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza, creato specificamente per la lotta antipartigiana nell’allora Venezia Giulia. Diretto dall’Ispettore generale di PS Giuseppe Gueli, il corpo si distinse per l’uso di metodi repressivi particolarmente efferati, rastrellamenti di interi villaggi che si concludevano con arresti indiscriminati (operati anche nei confronti di parenti minorenni ed anziani dei sospetti “ribelli”) e l’incendio, la distruzione ed il saccheggio delle case di questi. Inoltre la tortura dei prigionieri nel corso degli interrogatori era la regola e non l’eccezione (1).

Verso la fine della sua esistenza l’Ispettorato era diviso in cinque sezioni (squadre): la più nota era la cosiddetta “squadra volante”, conosciuta in città come la “banda Collotti” dal nome del suo comandante, il commissario Gaetano Collotti, che si distinse per la ferocia delle operazioni di rastrellamento e la crudeltà delle torture cui venivano sottoposti gli arrestati (2).

Un’altra squadra era quella denominata “giudiziaria”, diretta dal dottor Mariano Perris (classe 1913), che in precedenza (fino al 15/3/44) aveva svolto servizio nella cosiddetta “provincia di Lubiana”, cioè la parte della Slovenia occupata dall’Italia dopo l’aggressione del 1941. Nel corso del processo celebrato a Trieste contro i dirigenti dell’Ispettorato (febbraio 1947) il teste Giuseppe Giacomini (agente che era stato in forza al Corpo) dichiarò che questa squadra “nulla aveva a che fare con le squadre politiche” e, che “aveva agenti ausiliari persone per bene”. Lo stesso Giacomini però parlò anche di un “apparecchio di tortura elettrico” che sarebbe stato regalato dalle SS al commissario Collotti, e disse che lo stesso apparecchio “stava nella stanza di Collotti ma qualche volta ho sentito dire che passava nell’ufficio di Perris” (3).

Ma qual era l’attività di questa squadra? Da documenti che si possono consultare presso l’Archivio di Stato di Trieste si apprende che questa squadra era denominata “squadra speciale per la repressione della delinquenza comune” e si sarebbe appunto occupata di indagini sulla criminalità comune: però dobbiamo tenere conto che molto spesso azioni compiute da partigiani, come rapine per autofinanziamento oppure attentati contro membri delle forze di occupazione venivano fatti apparire dalle autorità come crimini comuni.

La squadra contava tra i suoi uomini il vice commissario aggiunto ausiliario dottor Giuseppe Rautj, l’agente Aurelio Belletti, il vicebrigadiere Antonio Cerlenco, che proveniva dal Reparto Mobile del 2° Reggimento Milizia Difesa Territoriale “Istria” (la famigerata “Mazza di ferro”), dal quale uscì assieme ad altri squadristi istriani per confluire nel servizio informazioni SS–SD. Cerlenco viene ricordato come un feroce torturatore da diversi antifascisti che furono arrestati dall’Ispettorato.

Tra gli arresti effettuati dalla squadra di Perris citiamo il caso del “pericoloso pregiudicato Podrecca Carlo, autore di numerosi delitti contro la proprietà e contro le persone” (4), che fu arrestato il 21/1/45 dopo indagini svolte dallo stesso Perris, da Rautj e da Cerlenco. In un rapporto del 19 marzo successivo Perris scrisse che Podrecca “è tuttora necessario per altre indagini di polizia, anche politica, in corso e viene pertanto ancora trattenuto a disposizione di questo Ufficio”, mentre tutti gli altri arrestati erano già stati posti “a disposizione” della Procura nel carcere del Coroneo. Dato che il 21 marzo (cioè due giorni dopo il rapporto) Podrecca partecipò come agente dell’Ispettorato al rastrellamento effettuato nel villaggio di Longera, si può facilmente immaginare per quali “indagini di polizia” fosse necessario (5).

Considerando tutti questi particolari, possiamo formulare l’ipotesi che uno degli scopi della squadra comandata da Perris fosse quello di reclutare tra i delinquenti comuni possibili “collaboratori” dell’Ispettorato: ma in tal caso ci riesce difficile credere che il dottor Perris fosse stato del tutto estraneo a “questioni politiche”.

Alla fine della guerra Mariano Perris produsse una “dichiarazione di Antonio Fonda Savio (il comandante del CVL triestino, n.d.a.) attestante che aveva fiancheggiato l’opera del CLN e partecipato all’insurrezione” (6). Leggiamo quanto scrisse Marcello Spaccini, membro del CLN e sindaco democristiano di Trieste negli anni Settanta: “Ecco Perris e Scocchera: magro, mingherlino, bruno il secondo; robusto, energico, pieno di vita il primo. Sono i due elementi preziosi che durante il periodo precedente con rischio della loro pelle, hanno svolto un prezioso lavoro di informazione, e di collegamento con i patrioti prigionieri, che hanno permesso di controllare almeno in parte l’operato di Colotti (sic), di spiarne le mosse, evitandone alcune volte i colpi più duri” (7). Sempre secondo Spaccini, Perris avrebbe fatto parte del commando che andò a liberare il presidente del CLN triestino, don Edoardo Marzari, alle carceri del Coroneo il 29/4/45 assieme allo stesso Spaccini ed al commissario (dirigente della Polizia ferroviaria in epoca nazifascista) Ottorino Palumbo Vargas, che fu dal CLN nominato questore di Trieste nel periodo successivo all’insurrezione.

Fu forse grazie alla dichiarazione di Fonda Savio che il commissario Perris, non subì un processo come altri dirigenti dell’Ispettorato ? (8)

Dopo la guerra il dottor Perris proseguì la carriera in polizia; nel 1952 era a capo della Squadra politica a Torino e fu oggetto di un’interrogazione parlamentare in quanto aveva affermato, subito dopo l’omicidio dell’ingegnere Erio Codecà, funzionario della FIAT, che gli assassini andavano ricercati sicuramente all’interno del PCI (9).

Da alcune testimonianze da noi raccolte risulta che negli anni ‘60 Perris sarebbe stato in servizio a Milano presso la Squadra politica della Questura; inoltre nel corso della perquisizione ordinata dal pretore Guariniello il 5/8/71 negli uffici della FIAT a Torino fu trovata la documentazione relativa a “quattrini versati dalla FIAT ad almeno tre questori succedutisi a Torino e ad Aosta”, tra cui “Mariano Perris, anche lui successivamente passato a Milano” (10).

Nel maggio 1972 Perris fu questore a Pisa quando la polizia caricò pesantemente una manifestazione antifascista, picchiando brutalmente i manifestanti, ed arrivando al punto di sparare candelotti lacrimogeni all’interno dei portoni degli stabili e contro le finestre del Municipio, dove si stava svolgendo la riunione del Consiglio Comunale. Fu in quella circostanza che il ventenne Franco Serantini, anarchico, dopo essere stato picchiato selvaggiamente, fu condotto in carcere dove gli furono negate le cure necessarie e morì un paio di giorni dopo (11).

Nel 1975 Perris fu questore a Milano, e, da quanto ci consta, questo è stato il suo ultimo incarico prima del pensionamento.

Claudia Cernigoi


1 Nel “carteggio processuale Gueli” (archivio Istituto Regionale Storia Movimento di Liberazione di Trieste n. 914) sono contenute molte agghiaccianti testimonianze.

2 Gaetano Collotti fu catturato da partigiani veneti a Carbonera presso Treviso e giustiziato il 28 aprile 1945. Probabilmente se fosse vissuto non sarebbe stato “epurato”: infatti nel 1954 fu insignito di medaglia di bronzo al valore militare per un’azione antipartigiana da lui condotta nell’aprile ‘43.

3 Carteggio processuale Gueli, cit.

4 Rapporto n. 301 d.d. 22/1/45, firmato da Gueli, in Archivio di Stato di Trieste, fondo Prefettura: uno dei derubati da Podrecca era stato l’agente dell’Ispettorato Zian.

5 Podrecca fu arrestato nel dopoguerra perché, scrissero i giornali, “criminale comune e spia di Collotti”; condannato, godette poi dell’amnistia.

6 Carteggio processuale Gueli cit.

7 M. Spaccini, in “I cattolici triestini nella Resistenza”, Del Bianco, 1960, p. 134.

8 Nell’elenco dei combattenti del CVL conservato nell’archivio IRSMLT, doc. 1163 non appare il nome di Perris.

9 L’interrogazione si trova negli Atti parlamentari relativi alla seduta notturna dell’8/7/52. L’ing. Erio Codecà, che all’interno della FIAT era un funzionario affermato nel settore studi e progetti, venne ucciso alle 21.15 del 16 aprile 1952 nei pressi della sua abitazione; all’inizio fu accusato del delitto un ex partigiano che fu poi scagionato ma sull’omicidio non fu mai fatta chiarezza. Si tratta di Roberto Dotti, di “Stella Rossa”, poi nel PCI, che si diede alla latitanza all’estero prima di essere incriminato (e non lo fu). Al suo ritorno in Italia aderì al movimento “Pace e libertà” di Edgardo Sogno e Luigi Cavallo; nel 1970 fu presentato dal brigatista Corrado Simioni della Hyperion a Mara Cagol, allo scopo di finanziare le nascenti Brigate Rosse.

10 G. Flamini, “Il partito del golpe 1971/73”, p. 69, volume III, tomo I, Bovolenta 1983.

11 La vicenda è stata ricostruita da Corrado Stajano ne “Il sovversivo”, Einaudi 1974.


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