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La rocca si ergeva solida sullo scoglio in tale continuità con la pietra calcarea da non potere distinguere dove cominciasse il lavoro dell’uomo e finesse quello della natura, dove cominciasse la geologia e finesse l’architettura. Tutt’attorno il bassopiano arido e giallastro sfumava inesorabile verso le sabbie morbide del deserto di Thar, mentre ad est i pendii verdastri dei Monti Aravalli chiudevano la strada al monsone estivo. Il bastione di Mehrangarh pareva lì da millenni, addirittura da ere geologiche intere, levigato prima dai venti poi dagli scalpelli. Fondato secoli addietro da Rao Jodha, uno dei ventiquattro figli di Ranmal, divenne presto il simbolo del potere per tutta la casta dei Rathore. Da pochi anni era diventato la sede provvisoria del governatorato britannico nel Rajastan. Il Principe Viaggiatore era ospite di Sir John Anthony Brown, responsabile della East Indian Railway nella regione, incaricato dal Viceré in persona di soprassedere all’ispezione dei territori occidentali col fine di verificare la possibilità di aprire nuovi tracciati per collegare Jaipur alle remote terre sul confine del grande deserto di Thar. Salendo lentamente a dorso di mulo lungo il selciato che si inerpicava verso l’unico accesso al forte, il Principe ascoltava con noncuranza il chiacchiericcio fitto di Robert Maitland Brereton, Ingegnere civile inviato da Calcutta per verificare la fattibilità di una galleria nelle basse valli dei Monti Aravalli. Brereton, responsabile di altissimo grado dello sviluppo infrastrutturale di tutto il sub-continente, parlava incessantemente di quanto fosse enorme e vario il territorio britannico nel Deccan e dell’immane mole dei cantieri aperti per migliorare le comunicazioni, via strada, ma sopratutto via ferrovia, tra la capitale e le altre città maggiori. Parlava di montagne sventrate, di ettari di foresta ordinatamente cancellati, con cataste di tronchi e rami alte oltre venti metri ammassate lungo spianate polverose che attendevano di essere ripulite e lavorate per farne eleganti traversine. Ponti in acciaio, trasportati pezzo per pezzo via mare dalle madrepatria, rimontati per attraversare canyon profondi centinaia di metri. Gallerie che perforavano scogliere; nonché intere popolazioni evacuate a forza dai loro villaggi e trapiantate in angoli distanti del continente. Era una sala operatoria mostruosa che si sforzava di fabbricare un nuovo sistema circolatorio per un corpo immane e gran parte ignoto, procedendo per tentativi ed errori, versando sangue e scontrandosi con un’anatomia a volte ostile o semplicemente sconosciuta. Giunti all’interno della Corte Segreta del Forte, si rinfrescarono alla grande fontana di marmo fatta installare appositamente dal Governatore Sir George Benjamin Sinclair, che li attendeva all’interno. Quella stessa sera, alla grande cena di gala nell’immensa Sala degli Specchi, erano invitati tutti i dignitari della zona, gli ingegneri, nonché alcuni importanti commercianti di spezie della Compagnia che avevano grossi interessi nella regione. Fu il Governatore ad illustrare il piano di avanzamento delle opere infrastrutturali, ponendo grande enfasi sulla necessità di incombente di spostare un villaggio della gente Maharanas, eredi di una fiera stirpe che si oppose alla dominazione Mughal, situato sul tracciato della futura ferrovia. Solo qualche anno prima sarebbe stato schierato l’esercito: un gruppo di fucilieri uniti a truppe miste e il lavoro sarebbe stato fatto in un giorno. Ma a causa delle ultime rivolte per il costo del riso e della costante instabilità del vicino fronte Afghano, era stata proprio Londra a decidere di cambiare strategia, cercando di stabilire rapporti più amichevoli e favorire lo scambio ed il negoziato con le genti più remote del Regno. In quest’ottica Sir Sinclair era riuscito, dopo complicate trattative, ad ottenere un incontro con il vecchio Yogi Shubhrakrushna, membro influente del consiglio degli anziani che reggeva i territori del Rajastan meridionale. Una piccola delegazione Britannica avrebbe presenziato ad uno dei riti più sacri dell’intera penisola: l’ Asvhameda, il Sacrificio del Cavallo. Dal canto loro i Maharanas avrebbero ritenuto questa presenza un importante onore nonché un concreto riconoscimento della propria cultura; il Governatore sperava che questo scambio di cortesie avrebbe marcato un passaggio positivo nei rapporti, a volte tesi, tra la corona e le genti degli Aravalli. Il rito si sarebbe svolto al tramonto dell’ ultimo giorno della lunazione. Il Principe Viaggiatore fu felice di accettare l’invito a parteciparvi L’Asvhameda era uno dei rituali più antichi e misteriosi dell’ormai scomparsa religione Vedica. Giunto in India grazie a penetrazioni di genti indoeuropee, si era diffuso oltre mille anni prima ma ormai da secoli si riteneva scomparso nella regione del Rajastan. Furono forse sparuti gruppi di Maharanas a mantenere viva la tradizione nei villaggi di confine. Era una cerimonia complessa ed oscura in cui accanto al cavallo, uno stallone maturo di oltre ventiquattro anni di età, numerosi altri animali venivano sacrificati; la cerimonia era condotta dai sacerdoti e dalle regine-matriarche dei villaggi, una casta di donne sacre che si prendeva cura del cavallo per giorni interi fino agli attimi precedenti al sacrificio: nutrendolo, lavandolo, adornandolo con collane di fiori e paramenti dorati. I sacerdoti vigilavano su ogni fase della cerimonia, salmodiando sommessamente e assicurandosi che ogni passaggio dell’ Asvhameda risultasse perfetto. Lo stallone era incoronato al tramonto e nei brevi attimi in cui il sole scendeva oltre l’orizzonte aveva tutti i poteri riservati al sovrano: la presenza fisica dell’animale garantiva la continuità del potere; seppure nelle regioni del sud del Rajastan gli ultimi sovrani assoluti fossero scomparsi da qualche secolo, il sacro timore che essi incutevano era ancora palpabile tra la gente. Al culmine del rito il cavallo era immolato sull’altare: esso veniva sgozzato e dissanguato completamente, mentre le donne sacre mimavano furenti amplessi sul cadavere dell’animale. Tutti i villaggi potevano partecipare e alla morte dell’animale balli e danze si scatenavano per la notte intera fino alle prime luci dell’alba. IMMAGINI Il Forte Mehrangarh a Jodhpur
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