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“I fiori di Leverano? D’inverno i migliori d’Italia. Ma occorre un marchio per promuoverli”
Anthurium, rose, astromelie, curcume, gerbere: due ettari di terreno in agro di Leverano che la famiglia Paladini ha trasformato in un vero e proprio “Eden” variopinto. A piantare i primi fiori, papà Salvatore, nel ’75. L’appezzamento era di circa 50 aree, nel circondario si stava diffondendo a macchia d’olio il florivivaismo e molti agricoltori erano pronti a scommettere su questa nuova coltura che a fronte di terreni relativamente piccoli prometteva redditi alti, a patto di essere disposti ad investire in tecnologie e qualità.
“Mio padre ha cominciato con la coltivazione dei garofani, che prima avevano un discreto mercato”, racconta Antonio Paladini, 33 anni e già una pluriennale esperienza sul campo nell’azienda paterna, di cui è parte integrante assieme al fratello Marco ed alla sorella Anna. “A partire dalla metà degli anni Ottanta abbiamo cominciato a coltivare altre specie: anthurium, rose, gerbere, gladioli, ed abbiamo ampliato l’attività con la realizzazione di nuove serre e nuovi impianti tecnologici”.
Oggi l’azienda florivivaistica Paladini si estende su due ettari divisi in due grandi blocchi costellati da serre: un’area dedicata prevalentemente alla coltivazione di anthurium, seguita dalla giovane Anna, ormai una specialista di questo fiore, ed un’area più grande dove si coltivano tutte le altre specie, affidata ad Antonio, mentre Marco si divide fra le due proprietà e dà una mano dove c’è bisogno. Dalle serre dell’azienda Paladini, attrezzate sia per la coltivazione idroponica che per quella tradizionale, si producono ogni anno circa 500mila steli di fiori. Fattore di successo: l’ottima sinergia lavorativa fra padre e figli, aiutati anche da tre operai extracomunitari, e la presenza sui campi 24 ore su 24, 12 mesi l’anno. Notevoli poi gli investimenti per attrezzare l’azienda tecnologicamente: oggi acqua e sostanze nutritive vengono somministrate alle piante attraverso un sistema ad alta tecnologia, regolato da un computer centrale. Dedizione ma anche fattori climatici e peculiarità agronomiche costituiscono un valore aggiunto dei fiori di Leverano.
“I nostri fiori sono competitivi soprattutto d’inverno, da dicembre a febbraio, periodo in cui come qualità sono una spanna al di sopra dei fiori che si producono nel resto d’Italia, Liguria e Toscana comprese. Qualità dovuta prevalentemente al clima mite. Per questo sarebbe senza dubbio utile l’idea della Coldiretti di legare il prodotto ad un marchio territoriale: ci permetterebbe di avere maggiore visibilità, di vendere meglio il nostro prodotto e di raggiungere mercati nuovi”.
Nelle serre Paladini la primavera dura 12 mesi l’anno. “La temperatura va mantenuta costante a 18 gradi. Ciò comporta costi energetici elevati soprattutto in questo periodo di caro-petrolio. Stiamo pensando di abbattere i costi puntando sui biocarburanti, utilizzando come materia prima i residui della potatura degli ulivi e della sansa. C’è però da fare un investimento iniziale, per questo ci stiamo pensando un po’ su”.
La maggior parte della produzione viene venduta ai mercati floricoli di Leverano e Taviano per poi raggiungere attraverso i grossisti i negozi della Puglia ma anche del Nord Italia. Una parte viene venduta nello spaccio aziendale. “Purtroppo la congiuntura non è positiva. Il calo generale dei consumi ha avuto ripercussioni negative soprattutto su beni non di prima necessità, come appunto i fiori. La globalizzazione ci porta a dover fronteggiare oltre alla concorrenza interna, ad esempio con Terlizzi, anche estera, con Paesi come l’Olanda. Per questo dobbiamo fare investimenti oculati, puntare su specie floricole che si vendono di più, ottimizzare la vendita in alcuni periodi dell’anno, come la settimana dei morti che è in assoluto il periodo con il picco di vendite, ma anche le altre festività: Natale, Pasqua, San Valentino in cui si vendono migliaia di rose, la festa della mamma, la festa della donna”.
Per confrontarsi con altre realtà florivivaiste Antonio partecipa spesso alle fiere nazionali. “E’ un’occasione per uscire dal territorio, vedere come producono gli altri, prendere contatti con altri mercati”.
Un lavoro che prende completamente, assicura il giovane imprenditore, non privo di momenti di batticuore. “I rischi sono tanti. Ogni gelata o calamità naturale rischia di mandare all’aria mesi di duro lavoro. A volte ci alziamo nel cuore della notte, anche d’inverno, per fare degli interventi. A fine mese non c’è la garanzia dello stipendio. Ma tutto sommato è la vita che ho sempre amato: da ragazzino appena finivo i compiti andavo nelle serre ad aiutare mio padre. E’ stato un percorso naturale. Oggi ho le mie soddisfazioni: è una attività che dà i suoi frutti ma bisogna essere disposti a dare tanto impegno, dedicarvi tante energie, fisiche e mentali ed avere sempre in mente una chiara strategia aziendale, osservando giorno dopo giorno l’andamento del mercato”.
Daniela Pastore
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