di: Ferdinando Calda
“Il popolo palestinese e la loro leadership affronteranno un momento molto difficile dopo la richiesta al Consiglio di sicurezza dell’Onu per il pieno riconoscimento dello Stato palestinese in base ai confini del 1967 con Gerusalemme est come sua capitale”. Le dichiarazioni rilasciate ieri dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmud Abbas, descrivono in pieno una dura verità: una volta passato l’entusiasmo per il largo assenso che lo Stato palestinese ha riscosso tra i Paesi dell’Onu (su 193 membri, circa 140 hanno già espresso il loro appoggio all’iniziativa palestinese), bisognerà fare i conti con la quotidiana occupazione militare israeliana dei Territori palestinesi e con l’isolamento che di fatto questo comporta. Una situazione destinata ad aggravarsi in seguito alla prevedibile reazione di Tel Aviv a quello che considerano un affronto dei palestinesi a Israele.
Nei giorni scorsi il governo israeliano, per bocca del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, ha già promesso “conseguenza gravi e dure” se l’Anp dovesse portare a termine il proposito di chiedere il riconoscimento all’Onu senza passare per i negoziati con Israele. Un concetto ribadito dal viceministro Danny Ayalon, che ha avvertito che la “decisione unilaterale” dei palestinesi comporterà “l’annullamento di tutti gli accordi passati” e “scioglierà Israele da tutti i suoi impegni”.
Gli stessi Stati Uniti e diversi Paesi europei, stando a quanto riportato dal quotidiano Ha’aretz, avrebbero espresso la loro preoccupazione al primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, per eventuali misure di rappresaglia contro l’Anp. Sulla questione il premier non avrebbe ancora preso una decisione, tuttavia sembra chiara l’intenzione di “far pagare” in qualche modo ai palestinesi il tentativo “unilaterale” di indipendenza da Israele.
“Quando il polverone sulle attività all’Onu si sarà disperso – ha dichiarato Netanyahu aprendo l’ultima seduta del Consiglio dei ministri – i palestinesi si riavranno ed abbandoneranno i loro tentativi di aggirare trattative dirette con Israele”.
Dietro la richiesta di tornare ai negoziati diretti, c’è la pretesa di israeliana che ogni mossa palestinese venga prima approvata da Tel Aviv, a partire dalle persone e dalle merci che possono passare attraverso i check point dell’esercito, fino allo stesso riconoscimento di uno Stato indipendente.
I palestinesi, divisi tra Anp e Hamas, al momento, non sembrano intenzionati a tornare al tavolo dei negoziati, giunti da tempo a un punto morto, a causa soprattutto del rifiuto israeliano di accettare le condizioni minime poste dall’Anp: il congelamento delle colonie nei Territori occupati e la disponibilità a negoziare accettando almeno come punto di riferimento le linee del ’67.
Inoltre, anche volendo, Mahmud Abbas non potrebbe certo tornare indietro adesso, dopo che la sua iniziativa ha risvegliato grandi aspettative in tutto il mondo arabo e non solo. Nonostante le dure conseguenze che questo gesto rischia di avere sulla vita della Palestina.
Bisogna tenere presente che gli Stati Uniti non daranno mai il loro assenso nel Consiglio di sicurezza. I palestinesi dovranno quindi accontentarsi del voto dell’Assemblea generale (dove la maggioranza è assicurata), che darà alla Palestina lo status di “Stato non membro”, come lo è adesso il Vaticano. Anche se questo garantirà un maggiore accesso alle istituzioni internazionali, come la Corte penale internazionale (Cpi), di fatto non impedirà ad Israele di portare avanti la propria occupazione militare (considerando anche la scarsa considerazione di Tel Aviv per questo genere di istituzioni).
A questo proposito bisogna ricordare che, attualmente, l’economia e l’esistenza stessa del governo della Cisgiordania è legata a doppio filo a Israele. La stessa Banca Mondiale, nei suoi ultimi rapporti, pur riconoscendo una certa crescita economica in Cisgiordania, sottolinea che senza la fine dell’occupazione militare, la rimozione dei posti di blocco e l’apertura dei valichi di frontiera, lo sviluppo economico palestinese resterà contenuto, senza prospettive a lungo termine. Senza dimenticare che, in ogni caso, l’Anp non può intervenire nel 60% della Cisgiordania che resta sotto il pieno controllo delle autorità militari israeliane. Il caso di Gaza è diverso: è un’enclave isolata dal resto del mondo a causa delle restrizioni imposte da Tel Aviv.
A questo si aggiunge che l’iniziativa dell’Anp all’Onu, scontentando Israele, rischia di far allontanare anche gli aiuti internazionali su cui si basa gran parte della sopravvivenza del governo palestinese. Ad esempio, secondo quanto riportato da Fox News, gli Usa avrebbero minacciato di tagliare 500 milioni di dollari di aiuti, se Abbas persisterà nel suo proposito. Mentre nella riunione biennale del Comitato dei principali donatori dell’Anp, i Paesi membri avrebbero espresso preoccupazione per l’interruzione dei negoziati.