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Palookaville

Creato il 24 gennaio 2014 da Carusopascoski

PalookavilleLa provincia urbana a stelle e strisce è stata lo scenario di miriadi di film con duplici e opposte intenzioni: da un lato, l’esaltazione dell’amara ma teneramente umana anti-epica della lower class americana, dall’altro l’ambientazione, spesso mera, di thriller e drammi che ne eleggono il grigiore medio a funzione estetizzante.
Palookaville (che indica in gergo il posto dei perdenti, nominato da Marlon Brando in Fronte Del Porto), originale commedia grottesca basata su tre racconti di Italo Calvino (in particolare Furto in pasticceria) inizia laddove era terminato I soliti ignoti (espediente che poi sarà accennato anche in Criminali Da Strapazzo), con una rapina sgangherata ai danni di una gioielleria da parte di Sid, Russ e Jerry, tre scapestrati amici e compagni di “lavoretti”, disillusione e pigrizia, che finisce con una abbuffata di dolci quando questi si accorgono di essere invece penetrati dentro una pasticceria. Poi si sviluppa nei territori e nella malinconia di provincia che Smoke (uscito nello stesso anno) ha elevato ad arte e cresce invano e bonariamente imbranata con il colpo della vita mancato di un paio di galassie di furbizia come in Prendi i soldi e scappa, ispirato da Sterminate le gang!, mentre una colonna sonora fumosa e esuberante evoca un ché di Pantera Rosa.
Mischiando il tocco descrittivo di Edward Hopper con un dito di bourbon di Tom Waits e lo spaesamento comico del Benigni di Daubailò, Alan Taylor (con la produzione a basso costo di Uberto Pasolini) è riuscito a confezionare una storia divertente e risolta in una paradossale e farsesca eterogenesi dei fini, grazie a gag tipiche ma calate fuori dal loro contesto abituale e frullate insieme a fuoco morbido e grigio, godibilissima per il tono familiare con cui ci viene raccontata, che ispira una notevole compassione verso gli outcast primordiali ma non esemplari rappresentati, vicini allo stereotipo funzionale ma lontani dalla macchietta volgare.

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