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Pance e vino. Musica e cuore.

Creato il 28 aprile 2012 da Unarosaverde

Un alpino che si rispetti, superata una certa età, deve essere preceduto dalla sua pancia. Un alpino vero ha come migliore amica una damigiana di rosso e come fidi compagni pane e salame. Un alpino degno di questo nome farà sempre un complimento ad una ragazza, che abbia otto o ottant’anni. Gli alpini fanno casino intorno ad una tavolata, si rimboccano subito le maniche e si danno da fare, quando c’è bisogno, sanno perché è importante sfilare fieri dietro una bandiera.

Gli alpini salutano coloro che amano dicendo che “sono andati avanti” perché hanno la certezza che, oltre le cime dei monti, ci sia un luogo tutto da esplorare. Gli alpini formano cori a voci scoperte per raccontare di sè.

C’erano settanta di loro, questa sera, in una chiesa di frazione, gremita come in un giorno di festa grande, a ricordare chi è andato avanti nel mondo nuovo e a salutare chi è arrivato da poco in questo mondo. Il coro con il maglione rubino e la camicia azzurra si è mischiato al coro con il maglione rosso e la camicia azzurra appena sotto l’altare. Altra distinzione di origine non aveva più importanza.

C’era un solo impeccabile maestro, che li dirige entrambi; c’era mio padre, che non è mai stato alpino ma maestro di coro sì, poco lontano, a percorrere con loro la strada di un linguaggio comune. C’erano, tra i banchi, persone del quartiere, amici che non vedevo da tempo, gente che non conosco – io che so poco del mio paese – ma spesso capisce chi sono perché assomiglio a mia madre. C’erano un parroco angelico e i paramenti pasquali che ancora adornano l’abside.

C’erano moltissime cose. Poi non ci sono state più, quando si è levata la prima voce. Da quel momento c’è stata solo la musica.

Canti di prati, montagne, laghi, amori lontani, guerre, preghiere, valli, ricordi, rimpianti, stelle, boschi, addii, culle di bimbi. Voci di settanta uomini uniti leggere, in accordo, in parti sovrapposte, in un unico suono, piene e magnifiche, sussurrate e sottili, in assolo pulito.

C’erano lacrime negli occhi di chi cantava perché quando il cantare insieme raggiunge così l’armonia è inevitabile sentirsele scorrere sulle guance. C’erano sorrisi sulle labbra di chi cantava perché la bella musica condivisa è allegria e speranza.

Noi vedevamo tutte queste cose e le riflettevamo, parallele, sui nostri visi. A lungo, al termine del concerto, abbiamo riempito la navata e attardato l’uscita.

Fuori, ad aspettare, c’erano una calda sera d’aprile, la luna chiara a metà, il cielo pulito e una profondissima quiete.


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