In una scenografia rinnovata esteticamente, Corrado Augias consegna il suo programma, dopo dieci anni di risultati, molto buoni, a una nuova edizione firmata Concita De Gregorio che gli subentra nella conduzione. Dopo dieci anni di programmazione di Le Storie – Diario italiano, trasmissione televisiva della mattina di Rai3 dedicato ai libri e alla cultura, riparte con un titolo nuovo: Pane quotidiano, ma tutto il resto rimane invariato, compresa la presenza, in studio, degli studenti.
E ci si mette in viaggio, leggendo una pagina del diario di Emanuele Patané, morto a ventinove anni, nel 2003, a Catania, e dal suo diario, Costanza Quatriglio, ospite della seconda puntata, ha tratto un film che racconta qualcosa di cui non si è mai parlato in tv. Un film che ha avuto un grande successo al Festival del cinema di Venezia.
“Con il fiato sospeso” è un ponte tra il cinema e il documentario che penetra nelle contraddizioni più dolorose della nostra identità nazionale. La Sicilia è il luogo. La storia è tratta dal diario di Emanuele, un ricercatore che, aveva segnalato, in quel diario-fiume lo stato di insalubrità dei laboratori dove studiava. Lo chiamava “il laboratorio della morte”. Poi, questo ragazzo è morto, lo aveva detto più volte, “Quel laboratorio sarà anche la mia tomba”. Tantissime le segnalazioni alla Procura hanno fatto si che si chiudessero i laboratori. Un processo in corso che ha per oggetto l’inquinamento ambientale e la gestione delle discariche non autorizzate. I giovani ricercatori venivano messi in condizioni di lavoro non salubri. Una stanza di 120 metri quadri, tre porte e tre finestre non apribili, due sole cappe di aspirazione antiche e inadeguate e tutte le sostanze killer, lasciate lì sui banconi, nei secchi, in due frigoriferi arrugginiti: acetato d’etile, cloroformio, acetonitrile, diclorometano, metanolo, benzene, con vapori e fumi nauseabondi e reflui smaltiti a mano.
“Un film che narra – dice la regista – di una giovane ricercatrice che parte con entusiasmo e passione e piano piano si innamora della materia scientifica della chimica, scopre il propio talento, lo trova meraviglioso, poi, via via, la disillusione. Piano piano la perdita di tutte le certezze. È un film sul dubbio, non è un’accusa all’università di Catania, non è un processo ma, un dubbio”.
Qual’è la storia vera da cui prende le mosse il film? Lì dentro il laboratorio di farmacia dell’Università di Catania nel quale sognava di costruire il suo futuro, Emanuele, “Lele” Patanè, negli ultimi due anni aveva visto morire e ammalarsi, uno dietro l’altro, colleghi ricercatori, studenti, professori amministrativi. Tanti i casi accertati di persone che hanno lavorato con tecnici, ricercatori o professori nei laboratori di farmacia dell’Università di Catania che si sono ammalati di tumori. Tanti i morti. Sono dati impressionanti raccolti. I risultati delle ricerche venivano smaltiti, semplicemente, giù per i lavandini. Emanuele, uno dei tanti ricercatori, stroncato da un tumore ai polmoni ha scritto il suo memoriale, denunciando, coraggiosamente, l’assoluta insicurezza dei laboratori. Al diario ha fatto seguito un film, assolutamente necessario e altrettanto coraggioso.“È stato diffcilissimo farlo – ci spiega Costanza Quatriglio - portare questa storia nel sistema produttivo che sta un po’ con il freno a mano tirato. Siamo partiti, in un mercato asfittico del cinema italiano. Questa storia non aveva la porta principale aperta. Poi c’è stata l’energhia di tanti che ci hanno creduto e finalmente ho trovato una produzione”.
Una storia filmica che nasca dalla cronaca, ma che diventa una storia che la oltrepassa. Porta un messaggio che parla a tutti noi: “È la quantità che fa il veleno“ è una frase del film, è la chiave del film. Perchè a questi ragazzi veniva carpita la buona fede. Strumentalizzati anche dai loro insegnanti, per fare ricerche pericolose di cui non avranno il merito. A contatto con sostanze tossiche, che però non vengono segnalate come tali, se prese in modiche dosi…invece…è la quantità che fa il veleno! È una fotografia reale di ragazzi molto motivati che stanno combattendo la precarietà. Ora, la domanda che sconvolge è quanto sia diffusa la situazione che il film racconta?
“ Sicuramente un dato incontrovertibile è che le strutture risalgono a molti, molti anni fa, e se nascono in un momento che la cultura della sicurezza va da una parte, lo stato di obsolescenza, è in se” – chiosa la regista.
Dunque il film lo dice chiaramente, è un sistema che non funziona. Emanuele evidentemente si rendeva conto delle condizioni di estremo pericolo in cui lavorava, ma la paura di perdere la sua opportunità di carriera deve averlo fatto continuare. Tutti si sentono ricattabili, hanno paura di dire che le cose non funzionano, perchè tutti hanno paura di perdere quel pezzettino di possibilità che hanno di fare avanzamento di carriera. Nessuno, fino alla presentazione dell’esposto da parte dei familiari di Emanuele, si era accorto che quel laboratorio si era trasformato da anni in una fabbrica di morti. Un film autoprodotto con taglio documentaristico che denuncia, una situazione italiana, dove la cultura non viene considerata un valore, mentre in realtà è un’opportunità di cui abbiamo bisogno.
Un documento, quello di Emanule, cosi “potente”, come lo descrive Quatriglio, che risuona chiaro e limpido dopo dieci anni dalla sua stesura e scuote ancora le coscienze di chi apre il cuore e lo accoglie.Pane quotidiano dunque si presenta come una nuova avventura televisiva che non perde l’impronta di spazio aperto di riflessione e discussione lasciata dal suo predecessore.