Paolo B. rinviato a giudizio. Paga sempre Abele
Creato il 26 ottobre 2010 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Laddove si erge maestosa la figura di Caino appare, quasi sfocata sullo sfondo, quella di Abele. Questo ci narra la Storia (e la Bibbia). A prima vista potrebbe sembrare una scena da “Sogno di una notte di mezza estate” ma non è che la triste storia dei figli maschi della famiglia Berlusconi. Fin da piccoli, Paolo è sempre stato vittima del fratello (13 anni più grande di lui) che gli fregava i giocattoli e poi glieli rompeva (da grande gli ciulava le fidanzatine ma questo è un altro discorso). Dietro alle azioni di Silvio non c’era nessuna voglia di giocarci, solo di romperli e di dimostrare al soldo di cacio del fratellino chi era il più forte, bello, bravo e cattivo. La volta in cui Paolo tentò di rendergli la pariglia strappandogli il poster della Playmate da Playboy, fu costretto a ricorrere alle cure amorevoli di Don Verzé, curatore dei corpi e delle anime della famiglia. Crescendo Paolo si è reso conto che, con un fratello simile, prepotente e molto narciso, avrebbe dovuto ritagliarsi un ruolo essenzialmente di secondo piano o, meglio, di prestanome. Ma ad un certo punto, stanco di essere chiamato Berluschino, si era incazzato e aveva rilasciato una intervista al Mondo nella quale affermava: “Non chiamatemi più Berluschino. Ho una mia personalità e miei propri business”. Ed in effetti era proprio così. Paolino (non si offenderà se lo chiamiamo con un diminutivo molto simile a un vezzeggiativo) si stava dando un tono dichiarando a tutti che lui era un immobiliarista, un editore e un finanziere. Immobiliarista in Edilnord (del grande fratello), editore del Giornale (del grande fratello) e finanziere nella Simec Spa, la più grande azienda di riciclo-monnezza del Nord plurindagata perfino per omicidio. Paolino si era rifatto una verginità da quando, negli anni bui di Tangentopoli, arrestato con l’accusa di aver pagato tangenti alla Guardia di Finanza, era stato costretto ad uscire dal Tribunale di Milano nascosto dietro al cassettone di un Fiorino. Nel bene e nel male, Paolino era sempre uscito indenne (a parte qualche giorno di carcere e qualche condanna non scontata), da tutti i suoi guai giudiziari fino a quando, la notte di Natale del 2005, eternamente grato a Caino per quanto aveva fatto per lui, pensò di fargli in regalo una intercettazione telefonica che gli inquirenti non avevano ancora sbobinato: dal produttore al consumatore. Al telefono c’erano le voci di Piero Fassino, allora segretario dei Ds, e di Giovanni Consorte, presidente di Unipol, che aveva tentato la scalata nientepopodimenoché alla Bnl. Nell’intercettazione si sentiva la voce di Fassino chiedere a Consorte: “Allora, abbiamo una banca?”. Non si sa come né perché, quella registrazione venne pubblicata integralmente sul Giornale di famiglia il cui direttore era jenaridens Maurizio Belpietro. Grazie a quella telefonata, e alla massiccia controffensiva mediatica che ne seguì, Berlusconi (Silvio), allora presidente del Consiglio, riuscì ad attenuare di molto la sconfitta che avrebbe subito alle elezioni del 2006, causando quello stillicidio di maggioranza risicata al Senato che costrinse vecchi senatori malati ad essere presenti in aula pur di non far mancare a Prodi i voti necessari a governare. Di quella terribile vigilia di Natale e di cosa accadde, oggi abbiamo il quadro delineato dalla Procura di Milano che chiama pesantemente in causa sapete chi? Paolo “Paolino” Berlusconi. Il procuratore aggiunto Romanelli ha infatti inviato l’avviso di conclusione delle indagini a Paolino, a Roberto Raffaelli (ex titolare della Research Control System) e all’imprenditore Fabrizio Favata, ex socio di Paolino e amico di Raffaelli. Secondo il procuratore Romanelli furono loro i protagonisti dello scandalo poi pubblicato con la solennità che meritava da Maurizio Belpietro. Insomma, ancora una volta, è partito un rinvio a giudizio per il povero Paolino che non sa più come ripararsi dall’ombra immanente del fratello. Nella conclusione delle indagini si legge: “Paolo Berlusconi rivelò il contenuto della conversazione, coperta da segreto istruttorio, in favore del fratello e presidente del Consiglio Silvio Berlusconi”, l’utilizzatore finale (tanto per cambiare), della telefonata letale per Fassino e per Consorte. E tanto per gradire, Berluschino non è indagato solo per rivelazione e utilizzazione di un segreto d’ufficio (la pubblicazione di Belpietro), ma anche per ricettazione e millantato credito visto che in questa faccenda, abituato com’è a raccogliere le briciole sotto il tavolo dei festini del fratello, ha estorto 560mila euro a Fabrizio Favata (pagati a rate), in cambio di “una mano politica” per un appalto in Romania. Paolino è proprio sfigato, ogni volta che decide di combinarne una fuori dalle cure amorevoli del fratello, trova un magistrato che gli rompe il giocattolo. Proprio come faceva Silvio nella loro infanzia. E poi uno dice che Abele s’incazza.
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