di Maria Dente Attanasio
Chiuderà i battenti il 5 ottobre 2014 la grande mostra monografica, allestita nelle sale del monumentale Palazzo della Gran Guardia di Verona, dedicata a Paolo Caliari, più noto come Paolo Veronese. Il percorso espositivo conta più di cento opere (provenienti dai più prestigiosi musei italiani e internazionali), e comprende grandi teleri, ritratti, paesaggi, pannelli con rappresentazioni allegoriche, sacre rappresentazioni e una cernita correlata di disegni e studi preparatori. Alla grande esposizione veronese – curata da Paola Marini e Bernard Aikema – sono abbinate le mostre satelliti di Vicenza (“Quattro Veronese venuti da lontano. Le allegorie ritrovate”, presso il Palladio Museum), Padova (“Veronese e Padova. L’artista, la committenza e la sua fortuna”, presso i Musei Civici agli Eremitani), Castelfranco Veneto (“Veronese nelle terre di Giorgione”, presso il Museo Casa Giorgione) e Bassano del Grappa (“Veronese inciso. Stampe da Veronese dal XVI al XIX secolo”). In particolare, merita una visita il piccolo allestimento vicentino al Palladio Museum dove è possibile ammirare (per la prima volta riunito) un ciclo di quattro allegorie (Allegoria della Scultura, Allegoria con balestriglia, Allegoria con sfera armillare e Allegoria con astrolabio); le vicissitudini del ciclo (non di pregevolissima fattura ma indicativo del modus operandi di Veronese) sono ricostruite nel saggio Quattro Veronese venuti da lontano a cura di Vittoria Romani (con testi di Howard Burns, Xavier F. Salomon, Cristina Moro, Carlotta Crosera, Stefania De Blasi e Michela Cardinali), reperibile nel bookshop.
La grande monografica nel Palazzo del Gran Guardia è stata promossa e organizzata dal Comune di Verona, Direzione Musei d’Arte e Monumenti, insieme con l’Università degli Studi di Verona e la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici (per le province di Verona, Rovigo e Vicenza), e con la collaborazione della National Gallery di Londra. Il percorso si snoda in sei distinte sezioni espositive: gli anni della prima formazione; i rapporti dell’artista con il mondo dell’architettura coeva (Sanmicheli, Sansovino, Palladio…); i rapporti con la committenza; le tematiche allegoriche e mitologiche; la religione; la bottega.
Profondamente diverso dagli altri illustri colleghi veneti (i maestri Giovanni Bellini, Giorgione, Tiziano…), Paolo non fonda la sua pittura sul tonalismo ma fin da subito si concentra su una stesura più netta del colore, su campiture cromatiche definite e contrastanti. Nato a Verona nel 1528, figlio di uno scalpellino, Paolo si forma dapprima nella città natia, poi a Treviso e a Mantova; decisivo sarà poi il trasferimento a Venezia, dove soggiornerà dal 1556 fino al 1588 (anno della sua morte). Un primo capolavoro giovanile è La lamentazione sul Cristo morto del 1548; quando lavora a quest’opera Paolo è appena ventenne, ma già la sua identità stilistica appare decisa, orientata su un manierismo qui in parte assimilabile a certe soluzioni del Parmigianino. A Venezia Paolo esordisce con una pala per la Cappella Giustiniani in San Francesco della Vigna (1551), dove sono ben visibili echi della celebre Pala Pesaro di Tiziano. Ritroviamo Paolo nel 1553 alla decorazione delle nuove sale di Palazzo Ducale (e nella stessa sede lavorerà a più riprese negli anni successivi), e di qui in avanti sarà tutto un crescendo di commissioni. Nella prolifica bottega veneziana Paolo lavorò al fianco del fratello Benedetto e dei figli Gabriele e Carlo. Tra il 1560 e il 1561 Veronese lavora ai celebri affreschi della palladiana Villa Barbaro a Maser (Treviso). Qui Veronese sfoggia un nutrito virtuosistico campionario illusionistico che ben si sposa con l’architettura di Palladio. È a partire dagli anni Sessanta che Veronese affina il respiro delle grandi scene corali, che poi culmineranno nei fasti delle Cene e dei Banchetti, grandi panoramiche affollatissime di personaggi (con particolare attenzione ai dettagli, dal lusso ricercato dei tessuti a quello dei marmi e ad altri elementi della composizione). Nell’itinerario espositivo della mostra il colpo d’occhio, nell’ultima sala, è per il grande telero Convito in casa di Levi (di quasi dieci metri di lunghezza per cinque di altezza), fresco di restauro. Altro gioiello presente in mostra è il Ritratto di Nobildonna veneziana del 1560, più noto come La bella Nani. Veronese eccelle anche nel ritratto, che dimostra di saper condurre con singolare delicatezza cromatica (si vedano il Ritratto di Alessandro Vittoria e il Ritratto di gentiluomo). Tra i dipinti a carattere squisitamente profano merita menzione il ciclo enigmatico e affascinante delle Allegorie dell’Amore, realizzato tra il 1565 e il 1570 (qui le figure, seminude e monumentali, sono rese in splendidi scorci illusionistici, segno che i pannelli erano destinati a posizionamenti piuttosto elevati). Se dovessimo definire sinteticamente le atmosfere pittoriche di Paolo Veronese ci potremmo riferire a un manierismo arioso, sfaccettato, corale, capace di mediare tra il particolare e il generale, dalle ardite scorciature alle prospettive più tradizionali, in un dialogo continuo tra la lezione dei grandi maestri rinascimentali e le composite soluzioni segnico-cromatiche dei manieristi.Nel catalogo della mostra (edito da Electa in due edizioni, una in brossura e un’altra in box deluxe) un ricco apparato storico critico con testi di Paola Marini, Bernard Aikema (i già citati curatori), Stefano Lodi, Ettore Napione, Diana Gisolfi, Stefania Mason, Giorgio Tagliaferro, Enrico Maria Dal Pozzolo, Thomas Dalla Costa, Agostino Contò, più un contributo sull’allestimento della mostra a firma di Alba Di Lieto e Nicola Brunelli.
Maria Dente Attanasio
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Cover Amedit n° 20 – Settembre 2014, “VE LO DO IO” by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 20 – Settembre 2014.
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