Alfredo Somoza, 57 anni, esule politico argentino, è ora presidente dell’Icei (Istituto di cooperazione economica internazionale – Ong italiana) e docente della Winter School dell’ISPI. Tutto questo lo deve a Papa Bergoglio, angelo custode che l’ha aiutato in ogni difficile passo sulla strada che dall’Argentina, allora sotto la dittatura militare di Jorge Rafael Videla, l’ha visto giungere in Italia come rifugiato nel 1981.
Nel 1976, anno del colpo di Stato, Somoza è un liceale brillante: rappresentante d’istituto e in collaborazione con altri giovani per la realizzazione di una rivista culturale clandestina anti-regime. Fatto che nel 1979 lo porta a subire un procedimento giudiziario e 15 giorni di carcere. Nel 1980 viene convocato dal potere esecutivo, poi la fuga.
Arrivato clandestinamente in Uruguay, prosegue per il Brasile dove viene accolto dai padri gesuiti. Da San Paolo si imbarca su una nave cargo che trasporta frutta e verdura e, dopo trentacinque giorni di navigazione, sbarca a Genova nell’estate del 1982, dove viene ricevuto come rifugiato politico. Diventa ufficialmente un cittadino italiano anche grazie alla nonna di origine italiana. Nello stesso anno Somoza e la sua famiglia si trasferiscono nel capoluogo lombardo, che tuttavia riserva loro freddezza e pregiudizio.
L’Italia di quegli anni non riconosce ancora tutti i rifugiati politici, ma solamente quelli provenienti dall’Iran e dal Cile. In ogni caso, grazie alle numerosi reti di solidarietà, anche tra connazionali presenti sul territorio italiano, la famiglia argentina riesce a integrarsi. Somoza è ora cittadino italiano, lontano dal clima di paura della dittatura. Salvo grazie al suo angelo custode, il quale gli viene rivelato alcuni anni dopo.
Si tratta del suo professore di Letteratura spagnola, nonché il maestro di vita che gli consigliava i giusti modi di agire nella lontana Argentina: Padre Bergoglio, ora Papa Francesco.
Bergoglio insegnava all’università di Buenos Aires, l’unica in cui potevano studiare anche i dissidenti del regime poichè tutelati dall’ordine gesuita. Sotto la dittatura Bergoglio era solito dire: “No te la creas“, “Non crederci“. Un metodo utilizzato dai gesuiti basato sull’interrogare se stessi, in quanto la verità non è sempre a portata di mano, e di utilizzare la propria testa, concetto scomodo e pericoloso in quel periodo e in quel Paese ma che si è rivelato un insegnamento prezioso.
Alfredo Somoza non è l’unico ad aver ricevuto l’aiuto del Papa, il quale, intrattenendo rapporti con il dittatore argentino, riuscì a intercedere e aiutare molti altri prigionieri. Il regime Videla avrebbe potuto contare un numero ancora maggiore di vittime, poichè sotto tortura, molti avrebbero potuto rivelare i nomi di altri compagni.
Nell’intervista di Francesca Galeazzi per la rivista “Miracoli” il professore universitario commenta l’accaduto:
“Sono certo che Papa Francesco abbia salvato molte più persone di quante lui stesso riesce a ricordare.”
È un angelo che paga il conto dell’hotel, gira in metropolitana a Buenos Aires, dove è anche tesserato come tifoso di un club della capitale, il San Lorenzo de Almagro. Papa Francesco è rimasto umile, vuole e cerca sempre il contatto con la gente. È stimato da tutti, non solo come figura religiosa, come dimostra la grande simpatia riscontrata nei suoi confronti da parte del giornale argentino Clarìn, di stampo sindacale.
Inoltre, ricorda sempre Somoza, nel 2000 quando è crollata non solo l’economia argentina, ma anche il governo, le banche e i sindacati fu proprio Bergoglio a ridare speranza a un Paese messo in ginocchio dal default. Ora, come presidente della Ong italiana, Somoza torna spesso in Argentina dove aiuta i suoi connazionali con l’appoggio della solidarietà del suo Paese adottivo. Come gli ha insegnato il suo angelo molti anni fa: “Stare con gli ultimi e non dimenticarci mai di chi soffre“.
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