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Ricevo e pubblico questa riflessione di Michela MurgiaIl camerino dove il neo eletto si cambia d'abito e assume la veste papale è soprannominato significativamente “stanza delle lacrime” e non c'è ragione per non credere che ieri sera anche Jorge Mario Bergoglio l'abbia usata per piangerci le proprie. Confesso che davanti alla tv un groppo in gola l'avevo anche io, come credo molti altri cristiani, atterrita al pensiero che l'uomo dentro a quella stanza potesse essere Angelo Scola.Non fatico a immaginare che per ragioni opposte fosse scontento anche Joseph Ratzinger a Castel Gandolfo, sicuramente informato prima di tutti del risultato di un conclave che ha negato continuità alla sua linea di governo, trombandogli il caldeggiatissimo delfino senza nemmeno discuterci due giorni interi. Benedetto XVI aveva amabilmente suggerito che il nuovo papa dovesse avere “il vigore del corpo e dell'animo” e invece i cardinali hanno eletto un vecchio di 76 anni considerato già fuori dai giochi; aveva spostato il suo candidato da Venezia a Milano e loro gli hanno preferito un successore preso “alla fine del mondo”. Si era spinto fino a mettere direttamente il pallio addosso a Scola in un'irrituale udienza privata, ma i cardinali non hanno ritenuto che quella pecora simbolica dovesse implicare l'assegnazione automatica di tutto il gregge. A dispetto del fatto che il 60% di loro fosse debitore della porpora proprio al papa uscente, è tra i cardinali nominati da Wojtyla che sono andati a pescare il suo successore, come già avevano tentato di fare senza esito durante il conclave del 2005. Lo spariglio della carte ora è totale. Quando il cardinal protodiacono ha pronunciato il nome di Bergoglio dal balcone, la sorpresa della piazza non era inferiore a quella delle redazioni giornalistiche, le cui troupe erano già piazzate al paese natale di Scola per cogliere il magnum gaudium dell'uomo della strada. Sono saltati sulle sedie persino alla CEI, dove da ore era pronto il comunicato di congratulazioni con il nome sbagliato, che poi per una svista è partito lo stesso. A dispetto del fatto che quasi nessuno l'avesse sentito nominare fino a un secondo prima, non si era manco affacciato al balcone che la rete già pullulava di opinionisti che dopo tre click su google erano pronti a dargli del colluso con la dittatura dei colonnelli argentini. “Chissà” - ha commentato amaro lo scrittore Emanuele Tonon - “magari sarebbe bello aspettare almeno dieci minuti prima di accendere i motori della macchina del fango. Giusto dieci minuti, dico. Poi, magari, non basteranno cent'anni. Ma dieci minuti, una volta, non si negavano a nessuno”. In tutta quella fretta di svelare misfatti, molti magari non si sono resi conto che nei suoi primi dieci minuti da papa Bergoglio ha fatto tre scelte simboliche di portata più che notevole. Apparso al balcone senza mozzetta né stola, l'argentino non ha mai pronunciato la parola "papa". Si è invece definito ripetutamente vescovo di Roma e ha chiamato il suo predecessore “vescovo emerito”, non certo ignaro del fatto che Ratzinger ha invece indicato di voler essere chiamato “papa emerito”. Le implicazioni ecclesiali ed ecumeniche della parola “vescovo” detta ripetutamente da quel balcone in quel momento sono enormi. Ma Bergoglio ha fatto qualcosa di più forte ancora: prima di benedire la folla ha chinato la testa e ha chiesto alle persone in piazza di pregare per lui in un inatteso gesto di reciprocità, rafforzato dall'annuncio di voler iniziare un “cammino nuovo, vescovo e popolo”. Chi si aspettava dal successore di Ratzinger il prosieguo del suo percorso di ridimensionamento del Concilio Vaticano II è servito: questo è stato il saluto papale più sinodale mai visto da piazza San Pietro. La terza scelta forte è stata l'annuncio del nome di Francesco: nessun omaggio a papi storici, nessun debito con papi recenti, ma l'instaurazione di una parentela inedita con il cencioso frate umbro, profeta di povertà e umiltà. Dopo un primo momento in cui nel titolo si era voluto leggere il riferimento al gesuita Francesco Saverio, è arrivata la smentita del cardinale Dolan, il grande vincitore tra gli strateghi di questo conclave: “il papa ci ha detto che ha scelto il nome in onore di Francesco d'Assisi”. In quel momento confesso che avrei pagato per vedere la faccia di chi ha gestito la faccenda Ior fino a ieri. In attesa di vedere quale giornata verrà fuori da un'aurora così promettente, arrivano come una raffica di macigni le notizie sul passato di Bergoglio.Complice di Videla. Delatore dei confratelli. Le mani sporche del sangue dei desaparecidos. Un libro di inchiesta che lo accusa. Ho passato la notte a leggermi ogni notizia, provando a verificarla per quanto mi è stato possibile, e il quadro che ne emerge è cupo, ma ambivalente.A tracciarlo meglio di tutti mi pare sia stato il New York Times, in un articolo firmato dai quattro corrispondenti di Buenos Aires, Portland, Rio de Janeiro e Montevideo. Ci sono esplicitate le durissime accuse, ma anche i controcanti di voci decisamente poco papaline come quella di uno dei fondatori della teologia della liberazione Leonardo Boff, che si dice addirittura incoraggiato dalla sua nomina a pontefice. Altrove ho letto le dichiarazioni di Alicia Oliveira, ben nota per il suo lavoro nel ruolo di Difensora dei diritti umani a Buenos Aires, che sostiene la versione dei fatti di Bergoglio e che grazie a lui si ritiene scampata a una fine da desaparecida.
Condivido in tutto le delusioni di chi avrebbe voluto sue prese di posizione coraggiose ed esplicite, ma gli storici silenzi della Chiesa sulle dittature di ogni dove non possono stupirmi: a Cuba come in Cile, in Cina come in Germania, per decenni la linea strategica delle gerarchie vaticane è stata quella della non belligeranza, nella convinzione che tenere un profilo basso potesse salvare più vite o non metterne in pericolo di ulteriori. È la storia di Pio XII tanto quanto quella di Wojtyla, comparso persino da papa in molte foto con Augusto Pinochet, senza che nessuno si sognasse di giudicare il suo pontificato da quello. Bergoglio ha un passato ambiguo, ma in quel conclave non c'era un solo cardinale di cui non si potesse dire lo stesso; non sono per niente pronta a scommettere che ciascuno di loro diventando papa avrebbe detto da quel balcone quello che ha detto lui. Il suo passato pesa e sarà pesato con cura, ma i cristiani che sperano in una boccata d'aria hanno visto nelle sue parole e in quelle brevi azioni simboliche una prospettiva di futuro per la Chiesa molto diversa da quella che sarebbe venuta dalle altre nomine accreditate, prima tra tutti quella di Scola. Nessuno che abbia una minima conoscenza della Chiesa si aspetta rivoluzioni dottrinali da un papa uscito da conclave composto interamente da conservatori, quando non da restauratori: sono certa che Francesco pontefice non farà nessuna apertura sulle cosiddette questioni non negoziabili, tanto quanto sono sicura che dei diritti di gay e donne non gli freghi un accidente, come del resto a nessun cardinale. Solo i più naif possono meravigliarsi che da un conclave non venga fuori un figlio dei fiori. È però credibile che il richiamo esplicito alla collegialità ecclesiale pronunciato da Bergoglio annunci un ridimensionamento del potere dei sultani curiali e che il riferimento assisano implichi uno stile diverso nella gestione del denaro: questi gesti sarebbero un passo avanti enorme anche senza altri confronti con i papati precedenti. Queste cose da cristiani possiamo sperarle senza che nessuno possa accusarci di accontentarci di poco, come un triste elettore italiano di centro sinistra. Il resto lo criticheremo quanto e più duramente di come abbiamo criticato i papi passati, ma oggi ho ancora negli occhi quello che è accaduto su quel balcone e niente riesce a rimuovere la sensazione ottimistica che lì questo papa abbia dato avvio consapevolmente a una nuova narrazione
Di Michela Murgia
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