Forse la chiamerei così, quell’isola lontana, dal nome portoghese ma che invece è inglese e dove c’è perfino un pezzo d’Italia.
La chiamerei così se mi riprendesse la vogli del mare (e del vento nei capelli, sempre più radi, a onor del vero) e non avessi già messo le radici qui, nella mia bella isola di Sardegna.
Parlo dell’isola atlantica di Tristan da Cuhna, che sta a metà strada, tra il Brasile e il SudAfrica.
Lì, tra i pochi abitanti (246 all’ultimo censimento) non c’è gerarchia, non c’è nevrosi, non c’è stress.
Sino a qualche decennio la moneta corrente era la patata: la bella, solida, saporita patata locale, scevra da influenze finanziarie, lontana dalla Borsa e dalle sue speculazioni; al riparo dalle maliziose contumelie degli avidi banchieri dai nomi americani e dai portafogli italiani: Fichte, Goldman & Sachs, Standard & Poor (loro invero molto standards e noi sempre più poors) and Carugatti lader (diceva in milanese il grande Gino Bramieri in un fantastico programma radiofonico di molti anni fa “Batto Quattro!”).
L’isola deve la sua esistenza nel consorzio dei luoghi abitati per una curiosa circostanza: venne occupata dagli Inglesi nel 1815 quando un distaccamento di soldati fu mandato da Londra a presidiarla per paura che i francesi vi facessero una base militare da cui partire per liberare un illustre loro connazionale, allora relegato nella vicina Sant’Elena con cui la nostra isola costituisce un unico arcipelago assieme ad un altro pugno di scogli tutti disabitati (esclusa Asuncion).
Prima degli Inglesi, nel 1810 un pirata americano di nome Lambert vi si era insediato autoincoronandosi Re dell’Isola e issando la sua personale bandiera (forse quella nera col teschio). Ma siccome ogni Re, per essere tale, ha bisogno dei sudditi, altri due pirati lo raggiunsero nell’isola. Tre anni dopo, nel 1813, dei tre abitanti solo un certo Tomaso Currie (irlandese ma genovese di origine era vivo) per cui, se i principi di diritto naturale non mi fanno difetto, possiamo ben dire che per un certo tempo abbiamo avuto un italiano di origine sul trono dell’isola! Almeno sino all’arrivo dei colonizzatori inglesi (i soliti imperialisti del cavolo) che, come già detto, vi si insediarono nel 1815 sostituendo la bandiera della Union Jack a quella sfilacciata della dinastia dei re pirati italo-irlando-americani.
I geni di quei prodi marinai vivono nei cromosomi dei 246 abitanti dell’isola, talmente attaccati alla loro terra da farvi rientro dopo l’ultima eruzione del vulcano locale (che occupa quasi interamente il territorio dell’isola, eccezion fatta per il nucleo abitato, pomposamente chiamato dai colonizzatori Edinburgo, più prosaicamente definito “The Settlement” dagli indigeni e per un appezzamento di terra adibito a meleto dall’altra parte dell’isola che gli abitanti raggiungono via mare per l’annuale raccolta, perchè via terra non è possibile arrivarci, vista l’inaccessibilità dei pendii vulcanici) e da non volerla lasciare nonostanti le malattie ereditarie, di probabile origine endogamica, quali l’asma ed il glaucoma, mettano a rischio la loro esistenza.
Continuate a contare i vostri francobolli e a filare la vostra lana, mentre fuori soffia il vento, discendenti di Glass, di Rogers, di Lavarello, di Repetto, di Groen, di Swain e di Hagan.
Nel frattempo io continuerò a sognare.