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Parigi e l’Isis. L’orrore corre sulla bocca di chi lo commenta.

Creato il 16 novembre 2015 da Postik @postikitalia

L’atmosfera plumbea che mi accoglie è quella dei funesti eventi. Sul suo viso un’espressione a metà tra il dramma e l’ansia.

L’occasione è troppo ghiotta perché se la lasci sfuggire. Gennaro è il collaboratore scolastico anziano -una volta si diceva bidello – il punto di riferimento, almeno da un trentennio, di una struttura elefantiaca formatasi fagocitando scuole che altrimenti, grazie ai costanti tagli all’istruzione, sarebbero state destinate a scomparire.

L’atteggiamento è composto, l’espressione grave, solo gli occhi tradiscono l’insofferenza e l’eccitazione.

“Buongiorno professo’”, gli occhi bassi. Rispondo con un cenno e mi avvio verso la sala professori. Ma Gennaro non si scompone, non è nel suo carattere.

Beneventano di nascita, ma con un nome e una gestualità tutte napoletane, mi insegue e prosegue come se niente fosse: “ ma a che punto siamo arrivati? Dove finiremo con questa violenza gratuita? Vi rendete conto professo’? Eh professo’? Questi so criminali proprio, qua io tengo paura professo’. Stavolta è stato peggio dell’altra volta, quando hanno fatto l’attentato a Sciabdò.”

Infervorato dalle sue stesse parole, mi porge un bicchierino di caffè il cui contenuto, in seguito al suo gesticolare, è finito per metà sparso sul pavimento.

“E poi professo’, e i servizi segreti? L’ Intelligence che  ci sta a fare? Ma come, dico io, voi vedete passare a quatt fetient coi fucili in mano e non gli dite niente? I m sent r’asci’ pazz, parola mia”.

So benissimo che, a questo punto, fermarlo sarebbe impossibile. Probabilmente Gennaro ha trascorso tutta la notte a preparare questo panegirico di accoglienza, che ora sia io il suo interlocutore è solo un elemento marginale e secondario.

D’improvviso, come un attore consumato, contrae il suo viso in una smorfia di dolore; gli occhi cerulei, testimonianza della dominazione normanna, si riempiono di lacrime: “e poi, professo’, pensate a chilli puveriell, stipati comm a tanta piecur dentro a chillu locale, o Patapàn, accis a un a un. Che barbarità! Fa buon Putìn, due bombe e risolve il problema. Questa gente così va trattata! E invece qua noi ce la prendiamo sempre con la povera gente, come a quel povero tabaccaro che ha ucciso a quello che lo voleva derubare. Ma faciteme o piacere!” Si volta verso il pulsante della campanella e lo preme vigorosamente più volte.

Gli alunni, con l’entusiasmo di chi sale sul patibolo, si trascinano lentamente verso le proprie classi. Gennaro, con un lampo di complicità negli occhi, si gira un’ultima volta verso di me e sussurra: “professo’ l’unica cosa è che mi fa piacere per i francesi! Eh sì, mo lo devo dire! Accussì si imparano! Loro e quella fetente di grandeur! Professo’, io so stato in Francia un sacco di volte. Professo’, senza offesa per nessuno, io ai francesi li schifo proprio!”

Si allontana fischiettando “La vie en rose”. Butto il bicchiere di plastica nell’apposito contenitore – Gennaro è un virtuoso della raccolta differenziata – e mi avvio. In fondo poteva andarmi peggio … potevo leggere Libero.

Gianpaolo D’Elia

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