Il prossimo anno ricorreranno 120 anni dalla prima legge che garantiva il suffragio universale con diritto di voto nel mondo, è toccato alla Nuova Zelanda essere il primo stato al mondo a dare atto pratico alle idee di Rousseau riguardo la rappresentazione politica universale. Solo nel 1946 con le prime elezioni del dopoguerra veniva introdotto il diritto di voto alle donne nell’ordinamento politico italiano, nei decenni successivi la lotta per arrivare alla parità dei diritti, almeno sul piano legislativo è stata, nello sconsolante panorama maschilista e machista italiano, dura, contrastata e, a tutt’oggi, ancora lungi dall’essere realizzata nel contesto sociale. Se abbiamo leggi uguali per tutti con profluvio crescente di organismi di pari opportunità e un fiorire di quote rosa che assomigliano più a foglie di fico che ad effettiva volontà di cambiare le cose, nella piena realizzazione del disposto normativo siamo ancora ben lontani da un risultato soddisfacente, le donne ottengono mediamente il 30,5% in meno di pensione mensile, gli uomini sono il 47% della platea dei pensionati, ma raccolgono il 56% del monte pensionistico, esattamente 17.137 contro 11.906; in Parlamento solo il 20% degli eletti è di sesso femminile, una delle percentuali più basse in assoluto in Europa, all’Università si iscrivono più donne che uomini ed il 58% dei laureati è donna, ma le ricercatrici sono solo il 40% e le professoresse associate solo il 32%, se andiamo nel campo dei rettori la resa è totale, se ne contano solo 2.
In compenso se analizziamo il campo televisivo e pubblicitario il risultato è diametralmente, ed aggiungerei tristemente, opposto, pur di vendere i prodotti il corpo delle donne viene usato nudo o seminudo, le donno sono invariabilmente come icone sessuali o in alternativa perfette madri di famiglia, la loro immagine viene svilita ed usata senza ritegno riducendoli a meri oggetti usati per vendere qualunque tipo di prodotto, sono sempre sexy, avvenenti, invitanti e ammiccano con doppi sensi ad uomini tanto belli e quanto vuoti che raffigurano in pieno il macho italico nella sua più becera trasposizione in formato GF. In compenso i dati incontrovertibili sono che il 53% delle donne in televisione sono senza voce, il 43% è associato a temi come moda, spettacolo, sesso e bellezza e che solo in un miserrimo 2% la loro immagine è legata a temi di impegno sociale e professionalità.
Tutto questo dovrebbe generare riflessione, discussione, rifiuto e financo ribellione, invece, senza volermi certamente lanciare i moralismi che sono la cosa più lontana da me, vedo ogni giorno che dal mondo maschile si tende a prendere il peggio, dopo avere criticato per generazioni gli uomini che si recavano ai bordelli prima e sui viali di circonvallazione poi, dopo avere lanciato peana sdegnati contro il proliferare di riviste per soli uomini e di locali di lap dance degni della downtown di Los Angeles, vediamo come serate di strip maschile vedano il tutto esaurito con liste di attesa, ogni volta che apriamo la pagina di Facebook appaiono foto di ragazzotti palestrati che raccolgono montagne di Mi Piace e commenti entusiastici di dubbio gusto, si vedono gruppi di amiche scambiarsi pubblicamente commenti su “come sei gnocca” o “quanto siamo f….”, se in nome della parità che sta diventando disparità noi uomini cominciassimo ad usare gli stessi termini e modi cosa succederebbe? Fermiamoci un attimo a pensarci, “quanto sei dotato” o un bel “ma quanto siamo c….ti”, nella legittima e personale libertà di espressione non pensiamo forse che la spasmodica ricerca della parità di diritti e modi di vivere non debba necessariamente passare attraverso l’adozione del peggio, ma del meglio, senza scendere ad un imbarbarimento di costumi che non porta sicuramente beneficio alla dignità?