Partire o Restare? Questo è il Problema…

Creato il 12 febbraio 2014 da Fugadeitalenti

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Un grazie ai giovani professionisti di IPMA – Young Crew Italy, per l’evento dello scorso 21 gennaio a Milano, nel corso del quale abbiamo discusso a lungo del tema della fuga dei talenti. Due ore di confronto estremamente stimolanti, ben sintetizzate da Francesco, uno degli organizzatori. Oggi il “guest post” de “La Fuga dei Talenti” è suo. Enjoy!

Alla fine la risposta non c’è stata: partire o restare è una invariante, o meglio una questione di laicità. Non c’è un consiglio, una preferenza. Solo indicazioni e dati che ognuno è libero di interpretare. E’ stato questo il succo del discorso di Sergio Nava, nostro primo ospite dell’anno 2014.

Una piccola premessa sui dati: non esistono strumenti di valutazione perfetti per stimare un fenomeno che da anni impatta sull’economia italiana, quello della fuga dei talenti.

Che si tratti di talenti o meno, i dati AIRE parlano di un +30% di expat nel 2012, con un boom di italiani in Inghilterra, che partono con o senza professionalità da offrire.  Dalle ricerche al numero empirico, che di solito è più vicino alla realtà, può passare facilmente un fattore due.

Dal discorso di Sergio è venuto fuori che il Regno della Regina è solo del terzo paese di destinazione, una medaglia di bronzo che post-cede la Germania e la Svizzera, due paesi che offrono rispettivamente una stabilità economica e stipendi altri spendibili in Italia. Non a caso, su quest’ultimo punto, la prima regione italiana in termini di expat è – rullo di tamburi- la Lombardia.

La regione della “Madunina” ha infatti superato la storica regione di espatrio per eccellenza, la Sicilia, che si trova al terzo posto alle spalle del Veneto (anch’esso relativamente vicino alla Svizzera). A chiusura del discorso, un esercizio interessante da fare è quello di incrociare gli espatri da Lombardia e Veneto con i nuovi arrivi in Svizzera. 

A questo punto la domanda da porsi è: “perché ce ne andiamo?”. Di fatto già l’Italia presenta di partenza un numero di laureati inferiore di un terzo o della metà rispetto a Germania, Francia ed Inghilterra. Questi spostamenti di capitale umano costano tra uno e cinque miliardi di € l’anno (stime di Repubblica e Squinzi), non proprio spiccioli. Formarci costa mediamente 120.000€ cad, e tutto questo è “regalato” dal sistema Italia ai paesi sopra citati, che giustamente “ringraziano” (ma anche no).

Da un’indagine indipendente citata da Sergio su un campione di 1.200 persone, i primi tre motivi di partenza sono, in sequenza:

  1. Meritocrazia e trasparenza nel percorso di carriera
  2. Strumenti e tool per svolgere al meglio il proprio lavoro
  3. Motivi legati al salario

Notate qualcosa di strano? Il salario è al terzo posto, non è un errore. Il primo punto è triste: viviamo in un Paese visto in questo modo. Magari non è così realmente, non è così in tutti in casi, ma è visto in questo modo. Sul secondo punto c’è ’meno tristezza ed una serie di opportunità (immagino il telelavoro, ad esempio), quindi può essere visto come un elemento migliorabile. Il terzo è un dato di fatto, legato anche ad un momento difficile, non solo per l’Italia.

E’ partito poi il consueto giro di domande, che ha coinvolto Sergio, il quale ha dato ampia disponibilità con un intervento record in termini di durata. E’ emerso il quadro di un Paese, il nostro, decisamente “autoctono”, con modelli anacronistici,  potremmo dire che non vede di buon occhio il “change management”. Manca programmazione, si guarda sempre al caso del giorno.

Sono state anche avanzate e commentate, nel piccolo del nostro incontro, una serie di proposte, legate al “circolante”, un po’ come la catena del denaro in una economia: a parità di moneta ricevuta, in un sistema chiuso, più si spende, più si ottiene in termini di servizi, più si crea lavoro, più si ottiene un livello di vita buono. Si devono quindi abbandonare strutture dove chi è nella poltrona vuole restarci anche oltre il tempo “massimo”, dare la possibilità a qualcun altro che merita di stare in quei posti di poterci stare, con un ricambio generazionale, dando maggior fiducia ai giovani, che comunque sono preparati.

E ciò è confermato dal fatto che questi giovani vanno via a giocare la loro partita, in terra tedesca, francese, svizzera o inglese, in mercati più grandi, in “inferiorità numerica” fuori casa, e spesso sono in gradi di portare a casa i tre punti. Se tornano a casa, se è data loro una possibilità di tornare a casa”.

FRANCESCO DI FILIPPANTONIO

Responsabile comunicazione esterna IPMA YC Italia

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