Magazine Cultura
Un tratto di costa, il mare che si frange sugli scogli. In una spiaggia sassosa, un cavaliere è disteso, assopito; accanto a lui c’è una scacchiera. Anche se sta dormendo, l’uomo stringe in pugno la sua spada, con ostinazione e coerenza. Poco più in là, riverso per terra in un sonno profondo, con le braccia spalancate come chi non ha nulla da trattenere, c’è un altro uomo, con abiti da giullare. Ancora un’altra inquadratura, e scorgiamo una coppia di cavalli, appena più in là della riva: il mare lambisce gli zoccoli; le criniere sono mosse dal vento. Il cavaliere apre gli occhi, si alza; va a bagnarsi il volto, ha bisogno continuamente di purificarsi. Il campo medio permette di vederlo interagire con il mondo: lui, una macchia di colore scuro, e la spiaggia intorno, deserta. Il subbuglio del suo animo si rispecchia in quella riviera selvaggia. A un certo punto, improvvisa, si staglia una figura ammantata di nero, con il volto pallido, esangue. “Chi sei?”, gli domanda il Cavaliere. “Sono la Morte”, gli risponde; “Sono venuta a prenderti”. Il Cavaliere la sfida allora a una partita a scacchi; la Morte accetta, incuriosita e sorniona. Si siedono, una davanti all’altro. La partita è cominciata. Inizia così, il capolavoro di Bergman, Il settimo sigillo. In questo film epocale, scarno ed essenziale nella sua nudità espressiva, nel taglio austero delle immagini, pure così affascinanti e profonde, i contenuti altissimi non appesantiscono mai la resa pittorica ed espressiva, la naturalezza delle scene, la genuinità dell’inventiva. La trama è quanto mai trascurabile, in confronto all’ambientazione: siamo nell’autunno lunghissimo del Medioevo, alla vigilia della Peste Nera. Il clima è dunque pienamente escatologico, l’ideale per adattarvi una compiuta riflessione sulla morte. La morte, infatti, è dappertutto: nelle voci, nei pensieri; nelle pareti affrescate, nelle prediche dei frati; nelle alcove, dove l’amore diventa qualcosa di urgente, un appiglio insicuro che vale comunque la pena di stringere; nelle rime e nei poemi, tanto dei giullari quanto di artisti e saltimbanchi; infine persino nelle case, nelle strade, dove i morti si contano a fatica, dove lunghe processioni di flagellanti invocano la remissione dei peccati. Davanti a questa sorte inevitabile, Bergman propone varie ‘soluzioni’, o meglio vari atteggiamenti. C’è il Cavaliere, che si tormenta per la fede che vorrebbe ma che non riesce più a sentire; c’è poi Jöns, il suo giullare, materialista e scettico, che volta le spalle alla morte e si compiace di passare il tempo, qui ed ora. C’è poi infine la coppia di artisti, ingenuamente presi dal loro amore, abbracciati alla vita col candore degli eletti. Per loro l’esistenza ha il sapore delle fragole, del latte appena munto: la morte è solamente un inverno passeggero, un brutto pensiero che scompare nell’istante stesso in cui si smette di pensarci. Saranno gli unici a salvarsi, almeno per un poco. Alla fine, quando la Morte arriva a prendersi quanto le spetta - la partita è persa, la Morte si è dimostrata giocatore infallibile -, tutti quanti i personaggi le si presentano, ciascuno recitando la sua parte come ha sempre fatto, in tutta la commedia della sua esistenza. “Sono la moglie del Cavaliere, e vi do il benvenuto nella mia casa”; “Il mio mestiere è quello del fabbro, e devo dire che mi arrangio bene nel mio mestiere”. Il Cavaliere chiede pietà a Dio, al Dio che “c’è, deve esserci, non può non esserci”. Jöns, lo scettico: “E’ tardi per insegnarvi la gioia smisurata di una mano che si muove, di un cuore che pulsa. Farò silenzio, sì; ma mi ribello”. In questo affresco enigmatico e sublime, luci ed ombre decidono ogni cosa. Le figure sono come marmi bianchi intagliati nell’oscurità; le cose affiorano dall’ombra, e i contrasti di luce assumono valore simbolico. Ogni oggetto si carica di significati: quella di Bergman è una vera e propria ‘poetica degli oggetti’, che tradotto in linguaggio cinematografico significa attenzione per il particolare, il dettaglio. L’inquadratura iniziale della scacchiera, per esempio, con il mare sullo sfondo; oppure la presenza dei cavalli nei momenti più importanti, i cavalli simbolo di volontà frenetica di vita, e prima immagine di morte nei dipinti e nelle allegorie medievali. Un’opera di pensiero, quindi; un invito a riflettere sul valore e sulla precarietà della vita, sul significato della nostra esistenza. Il tempo scorre. Giochiamo bene la nostra partita.
Possono interessarti anche questi articoli :
-
L’angolo di Dolcepentolina
PATE DI MERLUZZO E FAGIOLI BIANCHI per 4 persone 200 gr di filetti di Merluzzo,200 gr di fagioli di Spagna sgocciolati,aglio, 6 pomodori secchi,1/2 litro di... Leggere il seguito
Da Gialloecucina
CUCINA, CULTURA, LIBRI -
Avventure Sentimentali a Borgo Propizio: la Fiabesca Leggerezza di Loredana...
A Borgo Propizio regnano le donne. Certo, ci sono anche uomini in E le stelle non stanno a guardare (Salani Editore), nuova puntata delle avventure del borgo... Leggere il seguito
Da Dietrolequinte
CULTURA -
“Non c’è niente che fa male così” di Amabile Giusti
Dalla quarta di copertina della prima edizione cartacea a cura di “La tartaruga”: Caterina ha sei anni quando una tragedia sconvolge la sua vita, spazzando via... Leggere il seguito
Da Vivianap
CULTURA, LIBRI, RACCONTI, TALENTI -
Federica e Carla
Lo scorso 25 giugno, Matteo Marchesini ha presentato il romanzo di Federica Iacobelli, Storia di Carla, pubblicato nella collana "I chiodi", da lui diretta per... Leggere il seguito
Da Zazienews
CULTURA, LETTERATURA PER RAGAZZI, LIBRI -
Piero alla fine del cielo.
E poi ci sono quelli come Piero, quelli che sognano ancora. Quelli che vivono fra cielo e mare, cercando di capire se tutto quello spazio possa avere una fine.... Leggere il seguito
Da Pinocchio Non C'è Più
CULTURA, LIBRI -
DESIGN: Lampada MU | Design ispirato alla bottiglia di latte
Constantin Bolimond è un designer russo noto soprattutto per aver immaginato il packaging di bottiglie, dal titolo "Wine or maybe not", che combina l'estetica d... Leggere il seguito
Da Osso Magazine
ARTE, CULTURA, MUSICA