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Partiti euroscettici in europa: front national le pen, ukip di farage

Creato il 28 maggio 2014 da Postpopuli @PostPopuli
 

di Matteo Boldrini

Partiti euroscettici in Europa: il Front National di Marine Le Pen, l’Ukip di Nigel Farage e gli altri

Che le elezioni europee 2014 avessero un’enorme importanza nel quadro generale dell’Unione era una cosa chiara a tutti già molti mesi fa, tuttavia non era immaginabile un quadro così rivoluzionario come quello che ci troviamo ad analizzare dopo i risultati.

Certo le elezioni europee sono sempre state considerate di “secondo ordine” dagli elettori dei vari Stati, un’arena separata da quella nazionale in cui sentirsi più liberi di votare senza logiche di appartenenza, solitamente punendo o premiando il partito a cui si sentono vicini, tanto da rendere le europee sì utili per i partiti per capire se continuare sulla propria strada o cambiare strategia, ma anche poco rilevanti per un’analisi di livello europeo. Stavolta le cose sembrano essere cambiate.

Il dilagare dei partiti euroscettici e populisti, spesso con simpatie neonaziste, deve essere considerato oltre che in un quadro di analisi nazionale anche in uno europeo. In quasi tutti i Paesi si è avuta una più o meno accentuata, avanzata dei partiti euroscettici. Il Front National della Le Pen diviene il primo partito in Francia riuscendo a conquistare più di un quarto dell’elettorato, gli antieuropeisti dell’Ukip britannico guidati da Nigel Farage si aggiudicano il 31% dei consensi, Syriza in Grecia supera il 33% mentre anche in Germania il partito antieuro Alternativa per la Germania e quello nazionalista ottengono un seggio ciascuno. Fa eccezione l’Italia in cui i principali partiti populisti sembrano in ritirata e vi è un predominio quasi assoluto, anche se fa strano a dirlo, del Partito Democratico di Renzi.

front national le pen PARTITI EUROSCETTICI IN EUROPA: FRONT NATIONAL LE PEN, UKIP DI FARAGE

Marine Le Pen – internazionale.it

Da questi risultati si possono trarre due considerazioni. Prima di tutto è innegabile che si sia acuita la frattura tra le politiche economiche dell’Europa a trazione tedesca e le aspettative dei vari Paesi Europei. È su di esse che si deve intervenire prima che sia troppo tardi. Che rappresentino o meno un danno per i paesi membri, le politiche europee forniscono la base d’appoggio su cui gli ambiziosi leader dei partiti antieuropeisti e populisti costruiscono le loro carriere, e la critica ad una singola politica è diventata troppo rapidamente una critica all’Unione Europea stessa. Quindi, oltre che i meccanismi di partecipazione, devono essere modificate anche le varie politiche, in particolare economiche, al fine di evitare danni ben peggiori.

Il secondo dato che si può dedurre è la debolezza della sinistra di governo europea. Ad eccezione dell’Italia, negli altri Paesi si viene a registrare una cronica debolezza della sinistra socialista e socialdemocratica. In Francia il Partito Socialista è praticamente scomparso, mentre in Germania, pur crescendo, la SPD si mantiene ad un notevole distacco dalla CDU che perde poco più di 2 punti percentuali. La sconfitta, unita al concomitante successo di Renzi in Italia, dovrebbe essere presa da questi partiti come punto di partenza per un ragionamento che coinvolga la loro stessa natura.

Venendo poi a dei ragionamenti di carattere nazionale appare chiaro che il protagonista indiscusso di queste elezioni sia stato Matteo Renzi. Il suo Partito Democratico ha ottenuto un successo senza precedenti nella storia italiana. Per la prima volta nella storia, un partito della sinistra italiana ottiene una percentuale di consensi del 40%, recuperando 3 milioni di voti sulle elezioni dell’anno scorso e quasi cinque su quelle del 2009, distaccando il secondo partito (il M5S) di una ventina di punti e sbaragliando gli avversari tradizionali. Con un risultato del genere si rafforza la posizione del governo e la si mette al riparo da eventuali crisi provocate dai partiti alleati. Né Silvio Berlusconi, né Beppe Grillo, sembrano aver avuto quella capacità di mobilitazione dell’elettorato di cui, specialmente Berlusconi, avevano dato prova in passato; gli alleati montiani e alfaniani hanno dimostrato di avere percentuali molto poco significative e la dura opposizione fatta a sinistra dalla lista a sostegno di Tsipras, formata dai partiti di Sinistra e Libertà e Rifondazione Comunista, non si è concretizzata in un consenso reale. Ma la vittoria più grande Renzi l’ha probabilmente ottenuta verso la minoranza del suo partito. Quella minoranza fatta di vecchie volpi con le mani sul partito che attaccava Renzi in ogni modo, che lo irrideva quando diceva di portare il Pd al 40%, che temeva di perdere voti a sinistra per prenderli a destra,  che ha fatto galleggiare il Pd su percentuali del 25% e che vedeva il 33% di Veltroni come un obiettivo irraggiungibile, si trova oggi con un partito realmente al 40%, che non ha perso voti a sinistra e che ne ha presi un po’ a tutti. Una minoranza che poteva aver interesse anche ad insidiare la premiership di Renzi e che in potenza poteva mettere a repentaglio il governo, adesso si trova schiacciata in un angolo.

Ora a Matteo Renzi non resta che fare quanto promesso, riforme istituzionali, nuova legge elettorale e poi di nuovo al voto, per cercare di trasformare questo 40% alle europee in un 40% alle politiche e dare la botta definitiva a quella minoranza che da dentro il partito lo ha sempre ostacolato.



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