Pasqua, la pastiera.

Da Pamirilla


Bene, melodramma ne abbiamo avuto abbastanza sarà bene che torni in cucina.
Musica, ecco. E cucina. E basta.
Una bella spolverata di leggerezza, un pizzico di superficialità terapeutica. Pensare ad altro.
E cucina.
Facciamo che ci sono le vacanze pasquali, le scuole sono tutte (temporaneamente) chiuse, compresa la mia, e ognuno se la sbriga per qualche giorno da solo.
E sarà banale ma a Pasqua io faccio la pastiera. Veramente avevo pensato: “Quest’anno non la faccio. Abdico. Mi oppongo.” Ma mi oppongo a che? A me la pastiera mi fa morire di voglia, mi affoga di passione, mi incanta di primavera e profumi. È in primavera che la ricotta esprime il meglio di sé e la pastiera esprime il meglio della ricotta e della primavera. E questo è il senso delle cose, il senso della vita, il senso della primavera e della ricotta.
E poi, guarda: un dolce che è fatto con i doni ricevuti da una sirena, impastati dagli dei (come ci dice la leggenda) e che ha fatto sorridere e compiacere persino la Regina Triste (come raccontano i cantastorie) si può farne a meno?



La ricotta, partiamo dalla ricotta, perché la ricotta è magica. Bianca e pura. Fresca. Lieve. Il profumo è un soffio, delicata la consistenza. Bianca. E pura.
Trovarla!
Io abito…beh…non sarà il centro del mondo ma è pur sempre un centro: centro cittadino, centro commerciale, centro vitale della vita cittadina e commerciale. Negozi, negozi, negozi….per trovare la ricotta “vera” devo fare chilometri. Come, a Roma non trovi la ricotta romana? Eh, pensa un po’, la trovo sì, faccio i chilometri e la trovo. Quella senza panna. Senza aggiunte inutili di latte. Quella romana doc, dop, a chilometri…..0? Certo non per me che mi ci sfondo le scarpe per trovarla. Aperta la polemica e chiusa la polemica.
Il grano. Recentemente ho conosciuto un tale che, nel Salento, cerca di far tornare la voglia e di ricordare la sapienza di legumi e cereali che sono stati per secoli la Storia e la vita quotidiana di quelle terre ma poi, quelle terre, hanno finito per smarrirsi e confondersi: globalizzazione, sfruttamento dei terreni, profitto e fast food…
Ho preso un sacchetto di ceci neri (neri come la pece, strani) e un sacchetto di cicerchia mentre lui mi mostrava entusiasta le foto della sua azienda e mi raccontava di progetti e mi dice : “Guarda, questo lo sai cos’è?”
“Grano” faccio io “che bello!”. E’ bello, il grano non vi pare?
Mi risponde: “L’ho portato, così, per far scena, per farlo vedere. Certo non penso di venderlo. La gente non lo conosce e non lo riconosce e se gli dico chicchi di grano mi chiede per farne che?”
“La pastiera!!!” rispondo eccitata.
Due invasati a mirar chicchi di grano come fossero gemme!
Insomma nella pastiera ci sono il grano: butti semi nella terra nera e grassa ed esce oro.
E c’è la ricotta, fatta di latte e erba e di primavera: agnellini e pecorelle, quella cosa bucolica lì.
E poi ci sono le uova che a me fanno venire in mente polli e galline, pio pio, il gallo chicchirichì e l’uovo di Colombo ma a primavera voglion dire: Vita, Vita nuova. Pasqua.
Le uova sono importanti, in questa stagione, piene di senso, dense di significato.
Molte sono di cioccolato, in questa stagione decisamente magica, per le uova.



E allora facciamo questa pastiera.

Per la frolla
400g. di farina
200g. di zucchero
200g. di burro
2 uova
Un grattata di scorza di limone
Un pizzico di sale

Insomma la frolla base. Nel napoletano e nella tradizione si usa per lo più la frolla fatta con lo strutto, per la pastiera.
Modificate come credete, magari buttate un occhio qui.

Per la farcia di ricotta

400g. di grano già cotto
200ml. di latte
1 noce di burro
1 cucchiaio di zucchero
Scorza di limone
Cuocete gli ingredienti qui sopra elencati per circa quindici, venti minuti, mescolando di quando in quando.
Ottenuta una crema, spegnete il fuoco e lasciate freddare.   500g. di ricotta (vera!!!)
400g. di zucchero
5 uova (5 rossi e 3 albumi)
essenza di fiori d’arancio
scorza di limone
cedro, arancia e zucca canditi

Lavorate bene la ricotta, già setacciata, con una paletta; aggiungete lo zucchero e continuate a lavorare finché non avrete ottenuto una crema soffice.
Questi, di setacciare la ricotta e lavorarla fino a renderla soffice, sono due passaggi importanti.
La pastiera vuole il suo tempo, la Pasqua vuole il suo tempo, non si muore e risorge così, in men che non si dica, in fretta e furia, di corsa e correndo. Non è come la solita vita di tutti i giorni.
Poi unite anche i tuorli, uno ad uno, e quindi l’essenza di fiori d’arancio, la scorza di limone ed i canditi.
Se non vi piacciono i canditi fatene a meno. Se non avete canditi di ottima qualità, vi prego, fatene a meno.
Amalgamati bene questi ingredienti va aggiunta la crema di grano ed , infine, gli albumi montati a neve.
Avete il dubbio: c’è chi li monta, ‘sti albumi, e chi no e allora che si fa? Risposta: sai quelle belle pastiere cremose e goduriose che fanno in Campania e invece quelle basse, secche e rinsecchite che fanno, per esempio, dalle mie parti? Ecco, dunque, lavorate bene la ricotta, setacciata, fatene una crema morbida e alla fine amalgamate gli albumi (solo tre, su cinque uova) montati a neve. Il segreto della pastiera è il segreto di tutte le cose: il tempo, la cura, l’amorevolezza e fare anche le cose noiose, se servono.  

Per la cottura è bene utilizzare i cerchi appositi per pastiera. Costano poco, si trovano facilmente e consentono un risultato ottimale. In mancanza di questi vi accontenterete di una teglia da crostata. Tanto peggio per voi!
Ve beh, dai, scherzo, non è così grave.
Foderate, dunque, lo stampo che avete a disposizione, dopo averlo imburrato, con la pasta frolla e farcite con la farcia di ricotta fino a ½ cm dal bordo. Poi stendete ancora della frolla, ritagliate delle strisce e coprite la crema di ricotta incrociandole a formare dei rombi.
Infornate a 180° per circa 20 minuti e abbassate, successivamente, la temperatura a 150° lasciando cuocere il dolce per un’altra ora e venti, circa.
La cottura è lenta, bassa la temperatura: un tempo si usava portare le pastiere al forno più vicino. I dolci venivano infornate nei forni spenti, dopo che erano stati cotti tutti i pani. Quindi la temperatura andava via, via scemando. Un forno elettrico non restituirà mai la stessa magia di un forno a legna che, morendo dolcemente, cuoce dolci come con l’ultimo sospiro di fuoco e di vita. Ma ci dovremo accontentare.
Le pastiere venivano cotte il giovedì santo per essere consumate il giorno di Pasqua. Se pur non avete motivazioni religioso- filosofiche seguite comunque questa strada, perché le pastiere hanno bisogno di riposare qualche giorno. Gli aromi si fondono lentamente, il sapore si accomoda nel suo guscio, le fragranze accordano le loro note.
E poi Pasqua, finalmente, scioglie le campane. Inonda tutto di Vita. Nuova.


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