316 favorevoli, 6 contrari e 5 astenuti. Il Jobs Act passa alla Camera e torna al Senato. Le strane dinamiche di un voto chiave per il Governo Renzi. Oltre il 40% dell’Aula non vuole responsabilità politica sul provvedimento.
Il tanto atteso, discusso e controverso Jobs Act è stato finalmente approvato con modifiche alla Camera dei Deputati. Analizzando il voto quello che emerge è soprattutto tanta confusione, e l’incapacità da parte di maggioranza e opposizione di rimanere coesi.
Numeri del voto. 96,6% di voti favorevoli, 1,8% di contrari e 1,5% di astensionismo. Questi i numeri della Camera, che dietro ai 310 voti di scarto fra Sì e No, nascondono tantissime dinamiche che dovrebbe preoccupare, maggioranza e opposizione.
I problemi del Pd. Dell’instabilità interna del Partito Democratico causata dalla minoranza abbiamo parlato varie volte, ma qui la notizia è ancora una volta l’instabilità stessa di questa minoranza. Perché se a detta di molti gli oppositori interni al Jobs Act erano una trentina, quelli che si sono presi la responsabilità di votare contro sono stati solamente due, Luca Pastorino e Pippo Civati. Altri due si sono astenuti, Paolo Gandolfi e Giuseppe Guerini, gli altri (tra cui Fassina e Cuperlo) hanno deciso di non partecipare proprio al voto. Risultato? Tanto fumo ma niente arrosto, e la maggioranza del Pd guidata da Matteo Renzi che comunque continua ad avere vita facile nelle dinamiche interne di partito.
Nessuno si prende responsabilità. I problemi non sono solo del Partito Democratico, ma anche dell’opposizione e in generale di tutte le forza politiche in gioco. Se in un voto che mira a riformare il mercato del lavoro mancano all’appello oltre il 40% dei Deputati, c’è chiaramente un problema. Hanno ancora senso le dinamiche che mirano a far saltare il numero legale (vedi le 206 assenza fra M5S, Fdi, Fi, Sel e Lega), o sarebbe più appropriato votare decisi contro un provvedimento per cui non si è a favore? E poi, Deputati e Senatori non sono eletti dai cittadini come rappresentati del popolo per far sentire la loro opinione, prendendosi responsabilità chiare e decise su riforme importante come quella del mercato del lavoro?
Opposizione disunita. Numeri alla mano, tra i partiti che non sostengono il Governo Renzi, sono solamente due quelli che sono riusciti a rimanere compatti. Sinistra Ecologia e Libertà e Movimento 5 Stelle hanno desertato in maniera unita l’Aula. Ci ha provato Forza Italia, ma un Deputato ha deciso di rimanere indietro e votare contro, ci hanno provato Fratelli d’Italia e Lega, ma in entrambi i casi un Deputato si è schierato a favore del Jobs Act.
E ora? Ora la palla torna per la seconda volta a Palazzo Madama, dove la maggioranza ha numeri molto più risicati. L’intenzione del Governo è di terminare l’iter fra dicembre e gennaio, segnando il completamento almeno di una delle tre riforme importanti in ballo, insieme a Italicum e riforma costituzionale.
Per approfondimenti:
- il resoconto del voto
- iter del Jobs Act
- I voti ribelli del Pd al Senato