Intervista Evan De Vilde, fondatore dell’Archeorealismo
Ilario D’Amato
1) Partiamo dalle basi. Che tipo di formazione ha avuto?
Mi sono laureato a Bruxelles in Medicina naturale con una tesi sperimentale dal titolo “Il colore, l’arte e la sua funzione psicologica”; dopo la laure ho lavorato ad un progetto coordinato da un team di psichiatri al Manicomio di Melito dove mi sono occupato di arte terapia. L’obbiettivo principale era quello di far emergere, in persone con problemi di salute mentale ed evidenti deficit di comunicazione, le proprie emozioni sulla tela. Ne è uscita fuori una sorta di performance in cui ognuno dei partecipanti è riuscito ad esprimere, attraverso l’uso del colore, della musica e della parola, la propria interiorità sotto forma di simboli. Mi sono dedicato poi al mondo del design, ho studiato da autodidatta design di oggetti d’arredamento, architettura e gioielli. Una delle mie grandi passioni, fin dall’infanzia, era poi rappresentata dall’archeologia; ad un certo punto ho avuto come l’intuizione e la consapevolezza che nel mondo dell’arte fosse necessario scoprire piuttosto che inventare.
2) Lei si definisce, attualmente, un artista archeorealista. Cos’è l’Archeorealismo?
L’Archeorealismo rappresenta il nucleo il nucleo principale del mio percorso artistico e prevede l’utilizzo di reperti archeologici in contesti della contemporaneità. Il principio primario dell’opera archeorealista è quello di assegnare un nuovo concetto epistemico all’oggetto antico.
3) Nel suo percorso artistico com’è giunto all’Archeorealismo?
La mia passione per l’archeologia è nata quando ero ancora bambino, visitando i templi classici dell’antica Grecia. Durante quel viaggio ebbi modo di osservare, per la prima volta, un fenomeno estremamente interessante, ovvero la reinterpretazione del monumento antico, dell’oggetto archeologico, a seconda delle istanze della società contemporanea, che di volta in volta si relazionava con esso. Era chiaro come l’oggetto o il monumento antico venisse ad essere qualcosa di diverso, di mutevole e non più statico come prima credevo. Così ebbi l’intuizione che ogni oggetto estrapolato dal suo contesto originario ed inserito in spazi temporali differenti poteva assumere un ruolo artistico completamente nuovo.
4) Quest’operazione della reinterpretazione dell’oggetto, estrapolato ed inserito in nuovi contesti, ci riporta inevitabilmente alla memoria la pratica del ready-made duchampiano. Presumo quindi che Duchamp sia stato un artista fondamentale per il suo percorso, e con lui, quali altri autori o correnti artistiche l’hanno ispirata particolarmente?
Indubbiamente Duchamp è stato un modello di riferimento per me, anche se nel ready-made non c’era questo forte contrasto tra dimensioni temporali differenti così come avviene nell’opera archeorealista; il lavoro di ricontestualizzazione dell’oggetto ha comunque diverse somiglianze con l’operazione di Duchamp. Sono sempre stato fortemente affascinato, e ne ho quindi subito l’influenza, dall’arte concettuale così come dall’arte povera, ma il mio interesse si è concentrato anche sulle logiche minimaliste di Giulio Paolini e sulle modalità di creazione di certi contesti, che trovo meravigliosi, da parte di Jannis Kounnellis. Nell’opera archeorealista è proprio il contesto ad assumere un ruolo primario.
5) Nelle sue opere l’oggetto archeologico viene quindi snaturato o arricchito di nuovi valori?
L’oggetto archeologico si arricchisce assolutamente di nuovi valori. La parola stessa “Archeorealismo” è stata ideata per rendere al meglio l’idea dell’oggetto archeologico che viene ad essere investito, e a proiettare a sua volta, una nuova forma di realismo. Quest’operazione viene resa possibile dal lavoro che io opero sul contesto dell’opera. Inserendo l’oggetto antico in nuovo contesto questi assume una nuova dimensione che si crea automaticamente attorno ad esso. E’ un triangolo quello che si forma tra fruitore, opera e contesto, in cui modificando uno dei vertici inevitabilmente si arriva a scenari nuovi ed inaspettati.
6) Potrebbe approfondire che rapporto ha l’Archeorealismo con il tempo? In particolare come l’Archeorealismo riesce a coniugare culture di epoche diverse?
L’opera archeorealista condensa in sé la coordinazione delle tre dimensioni temporali. Il passato è testimoniato dall’oggetto archeologico, il presente è dato dalla ricontestualizzazione nell’epoca contemporanea mentre la dimensione futura viene ad essere la fenomelogia che quest’opera assume con il tempo. Si tratta di una sorta di dialogo tra passato e contemporaneo che apre a prospettive future del tutto nuove ma anche la dimensione spaziale è fondamentale; tempo e spazio nella mia ricerca sono intimamente legati. Sviluppando la premessa spazialista mi sono reso conto che la creazione dello spazio può essere data da due coordinate temporali unite nello stesso istante.
7) Archeorealismo significa anche preservare,restaurare il passato?
Certamente. Premetto che i reperti archeologici che io utilizzo per le mie opere sono tutti regolarmente dichiarati alla Sovrintendenza e non vengono in alcun modo intaccati nel loro aspetto originario. La mia preoccupazione è tesa anche al successivo eventuale recupero del reperto. L’operazione che io compio sull’oggetto antico è, ad esempio, radicalmente diversa da quella dell’artista Ai Wei Wei che invece interviene in modo invasivo sul reperto.
8) Dopo il successo riscontrato alla recente Biennale internazionale d’arte contemporanea di Firenze e la sua partecipazione al Padiglione Italia delle Biennale di Venezia a Torino, cos’ha in programma?
Attualmente sono in mostra a Ferrara in una collettiva presso la Galleria Pro Artis, mentre dal 5 Maggio parteciperò con una mia opera (Lezioni di buddismo) alla Biennale d’arte contemporanea di Lecce. A fine settembre invece è in programma una grande mostra personale presso l’Archivio di Stato di Roma.