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Passeranno, sapete, i rumori del mondo.

Creato il 26 febbraio 2013 da Unarosaverde

Passeranno, sapete, i rumori del mondo. E poi torneranno ancora uguali per passare di nuovo.

Passeranno questi giorni, tra strepiti e clamori televisivi, lunghi discorsi e brevi sarcasmi; arriveranno volti nuovi a mischiarsi tra quelli ben noti e allora vedremo se i loro occhi si manterranno limpidi e le loro mani pulite o, piano piano, saranno anche essi ricoperti dai veli grigi del compromesso. Potremmo rialzarci e riguadagnare la posizione eretta, potremmo seguitare ad incespicare, potremmo cadere definitivamente e poi scendere giù, ancora più giù, verso un altro periodo di buio. Passeranno le occasioni per fare un buon lavoro e saranno colte, a volte, e calpestate, altrettante. Avremo innumerevoli momenti per scegliere di essere nuovi di zecca e altrettanti per rimanere uguali a noi stessi, perpetuando i nostri errori o creandone di nuovi.

Passeranno ancora sotto casa le persone del paese che, a piedi, in bicicletta o in auto – ma guidando piano – percorrono la distanza tra le proprie case e i seggi nella scuola qui, in fondo alla via. Durante la bella stagione pare quasi una festa andare a votare: la gente si ferma a chiacchierare volentieri. Si abita vicino ma non ci si vede spesso però di domenica non si ha fretta e il tempo pare stiracchiarsi tra la messa del mattino e la pigrizia del pomeriggio, sembra che duri di più. Le signore anziane e fresche di permanente passeggiano, a braccetto, con la carta d’identità e la scheda tra le dita, e le frasi scherzose su questo o quel partito interrotte dagli immancabili “ma lo sai chi è morto” – “ma non mi dire, anche lui”. Passano lente mentre le guardo dalla finestra e passano i miei insegnanti di scuola, i miei compagni delle elementari, e poi passano anche quelli che abitano dall’altro capo della vecchia statale e di solito scelgono altri vicoli per andare oltre il fiume. Sono passati sotto la neve e gli ombrelli, questa volta, ma mai in silenzio e si sono intrecciati commenti e saluti.

Passeranno anche loro, mentre il calicantus in giardino fiorirà ancora sotto i miei occhi e poi, forse, fiorirà anche quando io non lo vedrò più.

Passerà la mia casa e prima o poi sarà inghiottita dal disfacimento del tempo e nessuno ricorderà più i suoi rumori; passeranno le lotte per i suoi mattoni e le contese per i parcheggi davanti ai suoi cancelli; passeranno gli abitanti di questo quartiere, sostituiti dai figli e dai figli dei figli; di generazione in generazione cambieranno aspetto le facciate, la scuola lì in fondo, il paese, la valle. Passeranno i dolori più atroci e la solitudine e la mancanza e gli amori più intensi e felici e saranno coperti da risate di bambini e da nuove lacrime e da nuovi amori. Passeranno le ore, i giorni e gli anni in questo angolo di mondo come in tutti gli altri e qualcuno lassù forse continuerà a ridere – o a dolersi – della piccolezza dell’uomo.

Ma io sono qui, stesa sul letto, e leggo un libro.

Lo leggo da venerdi, quando l’ho ritirato in biblioteca, poche righe per riporlo subito dopo perché avevo troppo da fare. Lo leggo da sabato e da domenica, tra una faccenda di casa e una nuotata in piscina, poche pagine, interrotte da altri impegni. Lo leggo da ieri sera, il primo capitolo completato con gli occhi che si chiudevano dopo una giornata turbinosa. Lo leggo da questa mattina, in sala di lunga attesa ai prelievi del sangue, pedalando sulla cyclette, allungandomi sotto il piumone così stropicciato che pare un sacco. Lo leggo e ogni volta che devo chiuderlo è sempre più difficile: pare come se mi dovessi togliere il pigiama, vestire e aprire la porta di casa per affrontare una giornata di freddo pungente a lasciare il palcoscenico delle sue parole. Lo leggerò questa notte e mi addormenterò tardi e ancora domani lo leggerò, incatenata dal fascino di una storia nuova.

A volte mi chiedo se non sarebbe stato meglio vivere fuori dal mondo, stralunata e inebetita, incapace di cambiare una lampadina o di farmi  largo tra la folla, di superare gli imbarazzi e il male di esistere per sembrare normale agli occhi degli altri, di fare baccano per farmi ascoltare, di giocare ad ignorare i miei limiti fino a farmi male, di parlare e parlare per riempire il vuoto dell’inconsistenza dell’affanno dell’accumulo di denaro. E’ più facile trovare in un libro la grandezza dell’uomo.

Lasciarmi passare le ore persa in una buona trama e lasciarmi passare con loro.

Rebecca West, La famiglia Aubrey,  Mattioli Editore. Traduzione di Francesca Frigerio.


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