Giovedì 15 Settembre è andata in scena la tappa napoletana diPassione Tour, il concerto che nasce dall’eccezionale docu-musical omonimo di John Turturro.
Un viaggio nella musica e nella cultura napoletana delle quali l’attore e regista italo-americano riconosce l’alto valore artistico, il peso della tradizione, il suo carattere internazionale insieme a tutte le sue contraddizioni.
Sul palco si sono alternati artisti di primo livello della scena napoletana e internazionale: Peppe Barra, Raiz, James Senese, Pietra Montecorvino, Misia e M’Barka Ben Taleb che hanno dato vita ad un importante estratto della musica partenopea “dalle origini ai giorni nostri”.
Chi voleva ascoltare le canzoni napoletane alla “vecchia maniera” sarà rimasto deluso: le musiche di Passione, almeno quelle “antiche”, non sono mai rese secondo le loro armonie e ritmi tradizionali.
Le voci dei cantanti, provenienti da varie parti del mondo, e gli arrangiamenti arricchiscono le melodie napoletane di sapori diversi, lontani nello spazio e che pure si percepiscono avere qualcosa in comune con la musica partenopea. Si ascoltano così classici della canzone napoletana che, senza perdere la loro originalità, vengono “shakerati” con elementi di tango, bossa nova, samba, ritmi mediorientali…
Tutto ciò però porta ad un’annosa considerazione: per rendere attuale la musica napoletana è necessario “svecchiarla” attraverso contaminazioni?
Non è questo un tema nuovo. Quando all’inizio degli anni ’90 apparvero sulla scena musicale i 99 Posse e gli Almamegretta, con cui la lingua napoletana si univa a generi musicali contemporanei di origine anglosassone (il Rap, la Tecno…), il loro impatto fu dirompente.
Non si può affermare che necessariamente il concetto di modernità sia affine a quello di esterofilia. Anzi, nelle nostre società sempre più multietniche, muliticulturali e, si spera, sempre più aperte al nuovo e al “diverso” tende a tramontare quella “poetica dell’esperanto”, del mettere insieme elementi appartenenti a mondi diversi puntando tutto sull’effetto d’insieme, tant’è che si parla sempre meno di melting pot o di cucina fusion.
Al contempo ciò non vuol dire arroccarsi dando vita ad un nuovo protezionismo culturale.
Preservare non significa difendere un’ipotetica purezza originaria, cosa che può far trascendere in sterili imitazioni di se stessi o, peggio, scadere in involute forme criminal-popolari, come nel caso del neomelodico.
Bisogna trovare una mediazione, cercare le radici, anche e soprattutto quelle provenienti da lontano, guardare a tutti gli influssi che la storia ha determinato su cultura e tradizioni, provando a mettere insieme i pezzi di un puzzle in cui l’unità è vista nella molteplicità delle parti che la compongono.
Le musiche di Passione sono sicuramente un tentativo in tal senso, come ce ne sono stati e ce ne sono, e poco importa se possa considerarsi riuscito o meno.
L’intento non era questo ma offrire finalmente una visione “moderna” di Napoli e della sua musica senza però far finta di non vedere il suo passato e il suo presente.
Riferimenti cinematografici
J. Turturro, Passione, 2010
da “Lo Stregatto” del 19 Settembre 2011