Magazine Cucina
Oggi un bellissimo doppio appuntamento, il pretesto di questa semplice ricetta è quello per introdurre un nuovo, graditissimo, ospite: Rocacambo. Ebbene si, da oggi questo sito ospita gli interventi di Rocacambo (tra i quali anche interviste a Chef stellati), lo pseudonimo dietro cui si cela un giornalista di una grande testata nazionale. Con questa firma, che omaggia l’esploratore italiano Pietro Brazzà, racconterà per noi i suoi viaggi nelle terre dei sapori, i suoi incontri con i protagonisti del cibo in Italia. Si parte dalle Langhe, tra i boschi e le colline in cui da qualche settimana è partita la caccia al tartufo. Con un alleato indispensabile: il cane. Qui trovate la ricetta, semplicissima, perchè il tartufo bianco pregiato non ha bisogno di tante manipolazioni nelle ricette e, subito sotto, l'articolo di Rocacambo (in basso trovata la ricetta).
Tra i boschi con gli studenti a quattro zampe Nelle Langhe l’università dei cani da tartufo (di Rocacambo)
Nell'aula, al caldo e con le ciotole ben rifornite, ci sono un paio di matricole. Studenti rigorosamente a quattro zampe, come da requisito per l’ammissione. Un bracco arrivato il giorno prima da Cuneo e un meticcio che viene da Torino. Hanno appena terminato la lezione di teoria nel cortile. Il Barot li squadra e ne sceglie uno, il torinese, per la pratica. Andrà lui per primo nel bosco e così si scoprirà quanto è fine il suo naso. Benvenuti a Roddi, piccolo paesino alle porte di Alba, in Piemonte, benvenuti nella prima università per cani da tartufo. L’insegna, nel casolare che affaccia sulla piazzetta del castello medievale, specifica che questa originale accademia è stata fondata nel 1880. Giovanni Monchiero, il rettore, è il discendente alla quarta generazione della dinastia Barot che da sempre anima i corsi. Barot IV, di conseguenza, il suo titolo. “Quando mi affidano un cane”, spiega Monchiero, “mi bastano pochi giorni per capire se è predisposto alla ricerca del tartufo. E’ una questione d’istinto e di olfatto, non di razza o pedigree. Anzi sono proprio gli incroci, i cosiddetti “tabui”, a scovare i migliori diamanti delle Langhe”. Non ci sono limiti per l’iscrizione: qualsiasi cane, anche quello metropolitano, una volta addestrato, può portare a casa buoni risultati e dare discrete soddisfazioni quando poi lo libera nei boschi. “A parte quelli che io chiamo cani da divano”, specifica il Barot tradendo le sue antipatie. Ma qual è la tecnica per insegnare al cane come scovare il prezioso tubero, che poi in realtà dal punto di vista biologico è un fungo? Risponde Monchiero: “L’insegnamento inizia con la scuola base per abituare l’animale a distinguere il profumo del tartufo. I cani sono ghiotti di tartufo, dunque è necessario proteggere le trifole con un involucro di plastica, forato per lasciar passare gli odori. Poi si nascondono le trifole sempre più in profondità e ogni volta che l’animale riesce a stanarle, viene premiato con gustose crocchette. Si crea così l’associazione: rendi il tartufo e ricevi il premio. Solo in una terza fase, dopo le ricerche simulate, si portano i cani nel bosco, anche più volte al giorno, per addestrarli alle ricerche vere e proprie. Ma è anche importante avere un rapporto affettuoso con l’animale, parlargli e accarezzarlo”. Ci vogliono due o tre settimane per laurearsi nell'ateneo di Roddi. Anche se, spiega il Barot, per formare un fuoriclasse non bastano i mesi. Racconta: “Anche se i tartufi, tra bianchi e neri, ci sono quasi tutto l’anno, l’addestramento s’intensifica in estate e in autunno e viene sempre effettuato con un cane per volta”. E i costi? “Per far frequentare la scuola al proprio cane il costo è all’incirca come quello di una retta universitaria vera e propria. Ma un buon cane da trifola addestrato può essere pagato poi 10.000 euro o anche di più. Il gioco insomma vale la candela”. A ridosso dell’università, la famiglia Monchiero ha allestito anche un piccolo museo che racconta il mestiere del trifolau, come nelle Langhe chiamano il cercatore di tartufi. Raccoglie in pochi metri quadrati tantissime curiosità intorno al pregiatissimo bianco di Alba. Fotografie (come quella del presidente americano Truman con un tartufo da due chili e mezzo in mano, dono dei trifolau langaroli), dipinti, documenti, ma anche gli attrezzi per la ricerca come zappette, bastone, lanterne. Il Barot mostra con orgoglio un vecchio registro: “Qui sono annotati alcuni ritrovamenti eccezionali, come una trifola da 1130 grammi raccolta nel 1913, una da 800 grammi nel 1914, mentre accanto al 1915 figura la parola siccità, principale nemico del tartufo”. Interessanti poi alcune testimonianze inedite del museo. Come quella che racconta l’amore per il Tuber magnatum Pico, questo il nome scientifico del tartufo, da parte di Joe di Maggio, ultimo marito di Marilyn Monroe e campione italo-americano di baseball: “Dopo aver letto un articolo di “Selezione dal Reader Digest” dedicato all’università dei cani da tartufo di Roddi – dice Monchiero - chiese a un suo amico di arrampicarsi fino al paesino piemontese per acquistare il migliore “truffle dog” dell’allevamento. Missione compiuta: il cane venne acquistato per la modica cifra di 150 dollari”.
ingredienti per 2 persone: 2 patate di media grandezza 2 uova pepe bianco sale tartufo bianco Ho cotto le 2 patate in forno, con la buccia, per 1 ora circa a 180°, quindi le ho estratte dal forno, tagliato la calotta, senza staccarla del tutto, scavate leggermente, la patata è diventata così un contenitore, ho messo l'uovo, ho regolato di sale e pepe, e ho rimesso in forno per 5 minuti con il grill a 160°, quindi le ho estratte dal forno e ho aggiunto il tartufo bianco affettato.
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