Magazine Diario personale
Oggi cade altra neve, e mentre scendi dal letto e vai alla finestra i rami degli alberi nel giardino sul retro si stanno imbiancando. Hai sessantatré anni. Ti viene in mente che nel lungo viaggio dall’infanzia fino a qui hai vissuto pochi momenti in cui non sei stato innamorato. Trent’anni di matrimonio, certo, ma nei trenta che l’hanno preceduto quante infatuazioni e quante cotte, e ardori e ricerche, quanti deliri e folli ondate di desiderio? Fin dall’inizio della vita cosciente sei stato un volenteroso schiavo di Eros. Le ragazze che hai amato da ragazzo, le donne che hai amato da uomo, ognuna diversa dalle altre, le tonde e le snelle, le alte, le intellettuali e le atletiche, le scorbutiche e le estroverse, le bianche e le nere e le asiatiche, non ti è mai importato della superficie, contava solo la luce interiore che vedevi in lei, la scintilla dell’unicità, la fiamma dell’individualità rivelata, e quella luce te la faceva sembrare bellissima anche se gli altri erano ciechi alla bellezza che vedevi tu, e allora morivi dalla voglia di essere con lei, di starle vicino, perché la bellezza femminile è una cosa a cui non hai mai potuto resistere. Fin dai primi giorni di scuola, a cinque anni, quando ti innamorasti della bambina bionda con la lunga coda di cavallo: e quanti castighi ti diede Miss Sandquist per le fughe alla chetichella con la bimba per cui tu eri preso una cotta, voi due insieme in qualche angolo a fare marachelle, ma per te quei castighi non contavano niente perché eri innamorato, andavi matto per l’amore a quei tempi come vai matto per l’amore oggi. L’inventario delle tue cicatrici, specialmente quelle che vedi sul viso ogni mattina quando ti guardi allo specchio del bagno per pettinarti o per farti la barba. Ci pensi raramente, ma ogni volta concludi che sono i segni della vita, che l’assortimento di linee frastagliate incise nella pelle del tuo viso sono le lettere dell’alfabeto segreto che racconta la storia di chi sei, e per ogni cicatrice c’è la traccia di una ferita sanata, e ogni ferita era stata causata da un’inattesa collisione con il mondo - cioè da un incidente, o da qualcosa che non doveva assolutamente accadere, perché un incidente per definizione è qualcosa che non doveva accadere per forza. La contingenza opposta alla necessità, e la presa di coscienza, mentre ti guardi allo specchio stamattina, che la vita è tutta una contingenza, salvo l’unico fatto necessario che prima o poi finirà.
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