Narra La Fontaine che tutti gli animali della savana, saputo che il leone stava morendo, accorsero per vendicarsie colpirlo. Venne perfino l’asino, e anche lui gli tirò un calcio.
In questi giorni, anche come conseguenza delle elezioni amministrative, tutti fanno a gara per cantare il de profundis per il Pd e soprattutto per il suo segretario Pier Luigi Bersani. E tuttavia l’amore della verità, oltre alla paura di comportarsi da asini, obbliga ad uscire dal coro.
Bersani non suscita chissà che simpatie, ma addossarglitutte le colpe sembra scorretto come fischiare un corridore che guida una Panda e compete con delle Ferrari. Il segretario guida un partito composito, incerto e contraddittorio. Per giunta, non ha il potere di indirizzarlo verso una coerente strategia: l’epoca autoritaria è finita e molte delle ambiguità di Pier Luigi appartengono in verità più al gruppo dirigente che a lui stesso.
La crisi del più grande partito della sinistra ha radici lontane. Il Pci ha perso l’autobus di una fruttuosa alleanza socialdemocratica con Craxi, non ha fatto i conti col proprio passato stalinista, non ha rinunciato alla sua vecchia mentalità e ai suoi vecchi metodi.E tuttavia c’è forse una causa più profonda che si riassume in una parola: disincanto.
Il Pci ha avuto un enorme successo per almeno quarantacinque anni ed anche prima, se contiamo la Resistenza. In tutto questo tempo non è mai andato al governo (a parte il breve momento in cui Togliatti fu ministro) ma questo non l’ha affatto danneggiato. Esso infatti non proponeva qualche aggiustamento al modo di governare ma un diverso modello produttivo, un diverso e più equo sistema sociale, la fine dei privilegi e delle ingiustizie e insomma, se non proprio il famoso “paradiso dei lavoratori”, certo qualcosa di grandioso. Una rivoluzione pacifica, una palingenesi. La fortuna del partito è stata quella di non essere mai stato chiamato a mantenere le promesse. Gli elettori gli aprivano perciò un tale credito, da credere che il comunismo italiano, diverso dagli altri, sarebbe stato compatibile con la libertà. Era la Grande Speranza.
La sua tragedia è stata la fine del Muro di Berlino e l’implosione dell’Unione Sovietica. Divenuto innegabile il disastro economico e sociale del “socialismo reale” dell’Est, il popolo di sinistra è stato peggio che perplesso; ma il colpo di grazia gliel’ha dato la fine della paura di quell’Armata Rossa che ha “rimesso in riga” l’Ungheria e la Cecoslovacchia. La società italiana ha permesso che il Pci, se pure cambiando nome e con un leader proveniente dalla Dc di sinistra, si confrontasse con la realtà del potere e purtroppo esso non ha dato buona prova di sé: al contrario ha dato uno spettacolo miserando di conati, contrasti e contraddizioni, con risultati praticamente nulli o addirittura negativi. Nulla di comparabile con le millenaristiche visioni coltivate per decenni. L’ultimo governo Prodi, più a sinistra del precedente, è stato la delusione finale.
Da quel momento si è avuta un’inarrestabile decadenza che prosegue anche oggi e di cui è ingiusto dare la colpa ai vari segretari. La verità nuda e cruda è che il Pci, comunque si chiami, non ha più un messaggio da offrire, nessun diverso modello di società, nessuna mirabolante speranza. È solo un umile partito socialdemocratico che da un lato non ha dato grande prova di sé, dall’altro, quand’anche avesse governato bene, ha perso il confronto con l’utopia. Tutto questo con un’aggravante: un tempo appariva talmente serio da fare paura, ora sembra coltivare l’antipatia dei moderati gridando, minacciando, insultando, annunciando catastrofi ed esiti dittatoriali ad ogni piè sospinto. E il risultato è che gli italiani votano per chi ha fatto sparire la spazzatura dalle strade di Napoli. Dal paradiso dei lavoratori al problema delle pattumiere: una discesa agli inferi.
Sarebbe bello potere a questo punto fornire una soluzione: ma se non la trovano gli interessati, è difficile che la trovino gli osservatori. Comunque è certo che essa sarà nella direzione del realismo e dell’umiltà.
Gianni Pardo, [email protected]
Magazine Politica
Narra La Fontaine che tutti gli animali della savana, saputo che il leone stava morendo, accorsero per vendicarsie colpirlo. Venne perfino l’asino, e anche lui gli tirò un calcio.
In questi giorni, anche come conseguenza delle elezioni amministrative, tutti fanno a gara per cantare il de profundis per il Pd e soprattutto per il suo segretario Pier Luigi Bersani. E tuttavia l’amore della verità, oltre alla paura di comportarsi da asini, obbliga ad uscire dal coro.
Bersani non suscita chissà che simpatie, ma addossarglitutte le colpe sembra scorretto come fischiare un corridore che guida una Panda e compete con delle Ferrari. Il segretario guida un partito composito, incerto e contraddittorio. Per giunta, non ha il potere di indirizzarlo verso una coerente strategia: l’epoca autoritaria è finita e molte delle ambiguità di Pier Luigi appartengono in verità più al gruppo dirigente che a lui stesso.
La crisi del più grande partito della sinistra ha radici lontane. Il Pci ha perso l’autobus di una fruttuosa alleanza socialdemocratica con Craxi, non ha fatto i conti col proprio passato stalinista, non ha rinunciato alla sua vecchia mentalità e ai suoi vecchi metodi.E tuttavia c’è forse una causa più profonda che si riassume in una parola: disincanto.
Il Pci ha avuto un enorme successo per almeno quarantacinque anni ed anche prima, se contiamo la Resistenza. In tutto questo tempo non è mai andato al governo (a parte il breve momento in cui Togliatti fu ministro) ma questo non l’ha affatto danneggiato. Esso infatti non proponeva qualche aggiustamento al modo di governare ma un diverso modello produttivo, un diverso e più equo sistema sociale, la fine dei privilegi e delle ingiustizie e insomma, se non proprio il famoso “paradiso dei lavoratori”, certo qualcosa di grandioso. Una rivoluzione pacifica, una palingenesi. La fortuna del partito è stata quella di non essere mai stato chiamato a mantenere le promesse. Gli elettori gli aprivano perciò un tale credito, da credere che il comunismo italiano, diverso dagli altri, sarebbe stato compatibile con la libertà. Era la Grande Speranza.
La sua tragedia è stata la fine del Muro di Berlino e l’implosione dell’Unione Sovietica. Divenuto innegabile il disastro economico e sociale del “socialismo reale” dell’Est, il popolo di sinistra è stato peggio che perplesso; ma il colpo di grazia gliel’ha dato la fine della paura di quell’Armata Rossa che ha “rimesso in riga” l’Ungheria e la Cecoslovacchia. La società italiana ha permesso che il Pci, se pure cambiando nome e con un leader proveniente dalla Dc di sinistra, si confrontasse con la realtà del potere e purtroppo esso non ha dato buona prova di sé: al contrario ha dato uno spettacolo miserando di conati, contrasti e contraddizioni, con risultati praticamente nulli o addirittura negativi. Nulla di comparabile con le millenaristiche visioni coltivate per decenni. L’ultimo governo Prodi, più a sinistra del precedente, è stato la delusione finale.
Da quel momento si è avuta un’inarrestabile decadenza che prosegue anche oggi e di cui è ingiusto dare la colpa ai vari segretari. La verità nuda e cruda è che il Pci, comunque si chiami, non ha più un messaggio da offrire, nessun diverso modello di società, nessuna mirabolante speranza. È solo un umile partito socialdemocratico che da un lato non ha dato grande prova di sé, dall’altro, quand’anche avesse governato bene, ha perso il confronto con l’utopia. Tutto questo con un’aggravante: un tempo appariva talmente serio da fare paura, ora sembra coltivare l’antipatia dei moderati gridando, minacciando, insultando, annunciando catastrofi ed esiti dittatoriali ad ogni piè sospinto. E il risultato è che gli italiani votano per chi ha fatto sparire la spazzatura dalle strade di Napoli. Dal paradiso dei lavoratori al problema delle pattumiere: una discesa agli inferi.
Sarebbe bello potere a questo punto fornire una soluzione: ma se non la trovano gli interessati, è difficile che la trovino gli osservatori. Comunque è certo che essa sarà nella direzione del realismo e dell’umiltà.
Gianni Pardo, [email protected]
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