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Pe' nun sape' né legge' né scrive'.

Creato il 15 novembre 2010 da Vix
Rimuginando contortamente, sbuffando, trascinando i piedi, in senso metaforico, mi metto davanti a questa pagina bianca, senza angoscia però anche senza un qualcosa di rilevante da dire. Solo un po' di nostalgia di quando mi sembrava di trovare spunti e stimoli in quello che leggevo, che vedevo o che sentivo, una serie di scatole concatenate di suggestioni che, aperte in successione, mi portavano talvolta lontano dal punto di partenza. E non è non stia assorbendo stimoli interessanti dall'esterno, anzi, ho tre libri in ballo che alterno nei momenti della giornata - come se fossero amanti sempre disponibili. Ma dico per dire, ve', che se mia moglie legge questo post poi si spaventa.
Per esempio, un po' trascurato sul comodino, dopo esser stato consumato con curiosità ma senza convinzione e poi abbandonato dopo aver visto il film, c'è "The Ghost Writer" - mind you, non quello di Philip Roth ma quello di Robert Harris. Sembra che quest'ultimo sia stato un best seller, ci si è scomodato persino Roman Polansky, con tanto di citazioni hitchcockiane e un cast di tutto rispetto. Ma a me è sembrato un po' raffazzonato. E non un pageturner, come un Grisham o King dei tempi belli. Per cui resta abbandonato, vicino al letto, in attesa dei miei pietosi ultimi colpi.
Insieme a quello avevo acquistato una scatola di cioccolatini amarognoli, che tengo sempre in borsa per inattese file alla posta (o le fisiologiche pause tecniche in sala di montaggio): "Diario degli Errori", una raccolta di appunti di Ennio Flaiano, vergati dall'autore lungo un arco di vent'anni ('50/'70). Ci sono impressioni di viaggi (tanti, beato lui), aforismi, ritratti di persone incontrate o semplicemente viste, battute e spunti per storie e film. Gustoso e, come detto, tendenzialmente amaro, ma non avvincente. D'altronde è, per natura e struttura, un prodotto da sbocconcellare così, senza impegno ma non senza soddisfazione.
La "favorita", per così dire, del momento, il libro che negli ultimi giorni è riuscito a catturare la mia passione, tanto da farsi portare a spasso, per casa e fuori, in ogni momento libero, è una biografia. Confesso che la passione che nutro per il protagonista è il primo driver, che mi ha fatto scavalcare anche i miei obiettivi limiti linguistici, ma man mano che procedo nella lettura devo ammettere che l'autore ne abbia messa altrettanta nella ricerca, quindi è un buon baratto. Di più, in realtà, perché Luis-Jean Calvet non si limita a riferire fatti, aneddoti e testimonianze, ma analizza con competenza e, di nuovo, passione il lavoro del protagonista, sia dal punto di vista linguistico, campo principale della sua competenza, che musicale. Non voglio giocare agli indovinelli, sto parlando del lavoro notevole che il professor Calvet (anch'egli possessore di biografia degna di nota) ha dedicato al mio amato Georges Brassens. E' chiaro che, agli occhi di un fan, seppur dell'ultim'ora qual io sono, ogni dettaglio del proprio idolo prende una luce particolare. Nel mio caso, è la solidità dei valori umani di Brassens, soprattutto quelli dell'amicizia e della riconoscenza che emergono dai racconti, a rafforzare la mia stima e il mio interesse.
Sono un uomo all'antica, in un mondo in cui i settantenni rifatti corrono appresso alla...
come si chiama?
Ah, già, il blasone.

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