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PECC: L’abbraccio, il racconto della SIBY (254/365)

Da Silbietta @silbi_etta

PECC: L’abbraccio, il racconto della SIBY (254/365)E continuiamo con la pubblicazione delle opere creative di questa PECC.
Oggi è la volta di SIBY, la mia compagna di merende, recensioni, che condivide con la sottoscritta un’insana (ma dipende dai punti di vista) passione per Tim Curry e il Rocky Horror Picture Show. :)

Ma non perdiamoci in chiacchiere inutili e lasciamoci travolgere dal suo inquietantissimo abbraccio….

Buona lettura!!!

L’Abbraccio

Era una notte buia e tempestosa quando accadde.  Nera, senza nuvole,  solo la luna, un quarto crescente, a illuminare la strada. Tanto vento, che io ricordi la notte più ventosa e fredda della mia lunga vita.  Ero completamente felice.  Completamente e totalmente appagata dalla mia vita di allora. Un lavoro non logorante, una cerchia ben scelta di persone da frequentare, un corpo non brutto e non bello, affascinante nella sua normalità che attirava il giusto numero di uomini.  Non che mi importasse alla fine: io avevo lui.
Ci eravamo conosciuti nel modo più banale possibile, alla fermata dell’autobus. Era simpatico, estroverso, ciarliero, esattamente il mio contrario, e grande amante della musica classica. Del nostro primissimo incontro ricordo solo che mi ritrovai ad ascoltare, canticchiata dalla sua voce bassa, l’aria di Mozart “ Voi che sapete” da Le nozze di Figaro. Poi una stretta di mano e ognuno sul suo predellino. Invece le vie della passione sono strane e tortuose, girano su se stesse, o forse semplicemente vivere in una piccola città aiuta a ritrovarsi e così alla fine dalla stretta di mano passammo ad un caffè e poi all’amore.
Era sposato, ci tenne a precisarlo subito, nè finse di essere in crisi con la moglie o di aspettare il divorzio. Amava la moglie ma amava anche me. Amava la mia capacità di mettermi al suo servizio come gli piaceva dire, di esserci sempre, di comprenderlo. Io semplicemente ero immersa in quell’amore come si è immersi e avvolti dalla luce dell’estate, abbagliata a tal punto da non volere ombra che mi mostrasse le forme reali delle cose.
In quella notte  lo aspettavo.  Venne alla solita ora, col solito completo stropicciato dalle ore in ufficio ma col viso arrossato dall’aria fredda. Per arrivare a casa mia bisogna percorrere un bel tratto a piedi su  una stradina sterrata che corre lungo la statale.
Amo la mia casa e la sua solitudine, il fatto che si trovi su un terreno una volta consacrato, il muro rosicchiato dal vento di quello che era il piccolo cimitero secoli fa e che ora è solo la parte più meridionale del mio giardino. Non fosse per le poche lapidi che si vanno sgretolando giorno dopo giorno, vento dopo vento, nulla potrebbe far capire che vivo nella vecchia canonica di quello che una volta era uno dei più vivaci centri agricoli della regione. Ma il tempo cancella e modifica le cose e dove  c’erano campi di grano e greggi ora sorge un’anonima e banale città industriale che non ha nulla di poetico tranne il riflesso del sole al tramonto sul fiume.
Sapete cosa mi piaceva immensamente di lui? Le sue mani: forti, segnate dalle vene, e mi dispiacque davvero dovergliele tagliare. Ma erano così meravigliosamente eleganti, così adatte , così da uomo che non resistetti.  E poi fissandolo nei suoi begli occhi spaventati gli aprii il petto  e raccolsi il sangue che usciva dalla lacerazione. Continuai a guardarlo per tutto il tempo finchè i suoi occhi restarono fissi e vitrei, persi nella sorpresa della morte. Poi finalmente bevvi il sangue raccolto. Era buono, denso e dolce, ed era sangue di un uomo giovane e forte che mi avrebbe placato la fame per un altro anno. Era sangue stillato la notte dell’ultimo giorno di ottobre, il giorno più forte per una strega come me.
Io lo amavo davvero, l’avevo scelto. Per la sua età, per il suo aspetto, per il suo odore e anche perchè mi faceva ridere. Lui era speciale, diverso da tutti quelli che l’avevano preceduto .
E  decisi di tenerlo sempre con me.
Ora nella parte più meridionale del mio giardino c’è un ospite in più, sotto la lapide della mia prima vita, sotto Elizabeth, c’è lui, avvolto dalla terra profumata di caprifoglio in estate e umida di muschio in inverno. Il mio ospite speciale. Ormai del suo bel corpo non è rimasto nulla e solo le sue ossa riposano ma a volte, quando il peso degli anni si fa sentire vado a trovarlo, smuovo la poca terra che lo ricopre e mi sdraio ancora tra le sue braccia. Quando arriverà la mia ora aspetterò la morte così. Anche le streghe amano.

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