Magazine Diario personale
La vita con l'esperienza ci insegna molte cose e ci cambia: se in meglio o in peggio dipende da come eravamo formati fin dall'inizio e dalle esperienze successive. Prendendo come metro campione me stessa, l'essere umano che conosco meglio, debbo dire che già alla Scuola Media Superiore, quando studiai Cesare Beccaria ed il suo "Dei Delitti e delle Pene", non mi trovai d'accordo con la lettura e l'interpretazione che mi veniva fornita dall'insegnante. La pena di morte, pensava l'adolescente che ero allora, era orribile ed ingiusta se comminata per i reati di opinione, così presenti all'epoca del Beccaria e ancora oggi presenti in alcuni Paesi di questa piccola Terra. Ma in casi in cui un essere umano si arroga il diritto di togliere la vita, bene supremo, ad un altro essere umano, la pena di morte è giusta e sacrosanta. In particolare nei casi in cui è espressa senza dubbi la volontà di uccidere fine a sé stessa. Si è visto con l'esperienza che il carcere non migliora gli assassini: pensate al caso recente di Buzzi, il Capo delle Cooperative Romane in combutta con Carminati, che fu condannato per aver ucciso con 34 coltellate il suo collega di banca e di truffe con assegni falsi, il quale minacciava di rivelare tutto ai superiori. L'assassino si costruì anche un alibi falso, ma la sua fidanzata brasiliana, con la quale amava fare la bella vita spendendo e spandendo, confessò e fece cadere il suo falso alibi. In carcere, non avendo molto da fare, si laureò. Cosa che tanti giovani puliti e meritevoli non possono fare, perché precocemente spinti al lavoro per aiutare la propria famiglia in difficoltà economiche. Convinse il Capo della Caritas, Don Di Liegro, di ESSERE UN ALTRO UOMO, e Scalfaro lo graziò! Scalfaro mi ricorda un'altra grazia che dette ad un altro assassino, Massimo Carlotto, uno che poté usufruire di numerose revisioni di processo, uscendone sempre condannato per colpevolezza, e che oggi, alla faccia della ragazza che uccise con tante tante coltellate, fa lo scrittore portato in palmo di mano da certi ambienti, soprattutto di sinistra. Don Di Liegro, invece, mi ricorda un altro prete che si convinse del "pentimento" di un certo Reder, nazista rinchiuso nel carcere militare di Gaeta, il quale, una volta messo piede nella sua Austria disse chiaro e tondo che LUI NON SI ERA PENTITO AFFATTO PER AVER COMMESSO LE ATROCITA' DI MARZABOTTO, e non solo, fra cui lo spanzamento di una donna incinta. La guerra, cosa orrenda, non c'entra. Anche in guerra si può uccidere per aver salva la vita, nemico contro nemico, ma certo le donne incinte, i feti, i bambini se li uccidi è perché sei una bestia feroce che nella guerra ha trovato il modo e la scusa per sfogarsi. Non uccidere queste bestie immonde preoccupate poi solo di sé stesse, astute nel fingere e mentire, significa calpestare le vittime estinte e quelle che restano soffrendo perché le vittime amavano. Dunque sì, sicuramente e convintamente sì, alla pena di morte, e qui sì che farei un elenco del reato di Omicidio nei suoi vari aspetti in cui ritengo giusto sia comminata. Un esempio sono gli assassini dei bambini a seguito di violenza carnale: non c'è nulla da recuperare in chi li compie. Dunque sono d'accordo con Marine Le Pen, anche se non sono delle sue idee politiche. Avevano la ghigliottina: hanno fatto male a toglierla. Oggi queste mine vaganti di folli islamisti, che nulla hanno a che spartire con chi segue il credo musulmano, possono scoppiare ovunque, non importa se sono nati nel Paese dove fanno strage, se parlano quella lingua (pensate al boia che prova gusto a decapitare innocenti reporter americani il quale parla con perfetto accento londinese), se hanno studiato con i soldi dei contribuenti americani come i due fratelli della strage della maratona di Boston...
Sono assassini che hanno scelto una causa come un'altra per motivare la loro voglia di uccidere, sopraffare, cancellare... Dunque vanno uccisi: per rispetto alle vittime, se non altro.
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