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Penance

Creato il 14 dicembre 2013 da The New Noise @TheNewNoiseIt

Penance - Parallel Corners era

Ero ancora un ragazzino quando osservai per la prima volta l’incantevole copertina di The Road Less Travelled nella collezione di un conoscente che sosteneva si trattasse di anonimo thrash metal. Gli chiesi gentilmente di poterlo sentire, ma lui preferì inserire nel lettore Nothing’s Shocking dei Jane’s Addiction, affermando che rappresentava il meglio di ciò gli fosse capitato ascoltare. Rovistando in un negozio di oggetti di seconda mano avevo da poco scoperto Asylum degli Unorthodox e mi avvicinai al doom e a una serie di formazioni degli anni Settanta che ne avevano influenzato la genesi. Nel frattempo convinsi il bruto di cui sopra a duplicarmi The Road Less Travelled e mi resi conto di trovarmi di fronte a un gioiello di inequivocabile valore. Non riuscivo a capacitarmi come si potesse ritenere di scarso interesse un album vario nelle proposte e con brani così compatti. Pervaso da un’atmosfera fumosa e decadente, era quanto di più pesante mi fosse capitato di ascoltare, in particolare in un ambito in cui si finiva di sovente per abbracciare soluzioni vicine al prog dei Rush o al rock’n'roll dei Motörhead. Le canzoni di The Road Less Travelled inglobavano ognuno di questi elementi in un magma il cui lento fluire permetteva alla formazione proveniente dalla Pennsylvania di concedersi persino asfissianti strumentali (“If They Would Cut My Throat Out…”) e trascinanti mid-tempo (“Soul Rot”). Qualcosa in me stava mutando e compresi che era giunta l’ora di appendere il chiodo al chiodo. Da quel momento in poi, solo jeans lisi e sfilacciati.

Uno sguardo al passato

Scoprii presto che le radici dei Penance erano i Dream Death, formazione autrice nel 1987 dell’lp Journey Into Mystery. L’etichetta olandese New Renaissance diede alle stampe un disco di immenso valore storico, la cui produzione approssimativa non fu sufficiente a scalfire la fama di cui la band godeva in quel periodo di fermento della scena underground. Proprio mentre stavo per addentrarmi nei meandri della musica del destino, l’ungherese PsycheDOOMelic diede alle stampe una retrospettiva dei Dream Death contenente le loro auto-produzioni (Back From The Dead) e una dei Penance (The Road Revisited, prima registrazione del debutto pubblicato da Rise Above). Queste incrementarono il mio interesse verso la carriera artistica del chitarrista Terry Weston e del batterista Mike Smail, in quegli stessi anni impegnato con Internal Void e Pentagram.

Nelle parole di Smail, i Dream Death non rientravano all’interno di alcuna categoria e ponevano l’attenzione esclusivamente sull’efficacia dei riff di chitarra e delle ritmiche: gli influssi doom traevano ispirazione dai solchi dei vinili di Black Sabbath, Trouble, Witchfinder General, Candlemass, Pentagram e da formazioni minori quali i Warcry di Trilogy Of Terror, mentre la matrice thrash da Slayer, Metallica, Anvil e Whiplash. Journey Into Mistery teneva presente la lezione impartita dai Celtic Frost, resa ancora più credibile e spaventosa dalle descrizioni sovrannaturali contenute nei testi ispirati ai fumetti degli anni Sessanta e Settanta e ai racconti di Edgar Allan Poe e Howard Phillips Lovecraft. Nei Dream Death vi era inoltre una forte componente old style, che guardava a Judas Priest, Scorpions, Accept, Kiss, Iron Maiden e Angel Witch. Tale sinergia di influenze diede vita a un amalgama sonoro che ebbe un’enorme influenza sul movimento doom degli anni Novanta: le linee vocali erano aspre e la varietà delle distorsioni di chitarra oscura eppure energica. “The Elder Race” e “Sealed In Blood” riflettevano la necessità di liberarsi dei paradigmi hardcore presenti nelle composizioni di The Obsessed, per avventurarsi in territori estremi, riflettendo le contraddizioni di un delicato periodo di transizione.

Penance

Un nuovo inizio

I Penance sono la naturale prosecuzione del percorso intrapreso dopo la pubblicazione del demo Ode To Sorrow e di un tangibile avvicinamento a sonorità affini alla musica del destino. Fondati nel 1989 dagli stessi musicisti che avevano militato dei Dream Death, l’anno seguente distribuiscono il nastro Living Truth, che contiene alcuni brani in origine concepiti durante l’era Dream Death (“In Spite Of You”). La componente thrash viene sostituita da pulsazioni blues e psichedeliche (“Contemplation”). Non c’è quindi un reale momento di rottura tra la formazione autrice di Journey Into Mistery e i Penance, bensì l’intima necessità di evolversi in una nuova creatura in grado di rappresentare al meglio lo stile musicale che influenzava maggiormente questi musicisti e il desiderio di lasciarsi alle spalle l’immaginario crepuscolare che contraddistingueva i testi scritti sino ad allora da Brian Lawrence Goodbread.

Caratterizzato da coordinate leggermente diverse rispetto a quelle del predecessore, Parallel Corners è un lavoro compatto dal quale traspare un’attitudine al passo con l’epoca: “Words Not Deeds” è un brano dal sapore garage dotato di un incedere minaccioso e impreziosito da un eccellente assolo di chitarra in grado di portare una ventata di aria fresca, accompagnando l’ascoltatore verso la successiva “Born To Suffer”, che esterna profonda disillusione nei confronti della vita. Laddove in “Words To Live By” il suono si fa più tagliente e il tono della chitarra si abbassa, in “Crosses” si assiste ad una colata di riff spaccaossa e alle vocals aggressive di Lee Smith, alternate a cambi di tempo e fughe strumentali dalle quali emerge l’amore per certo hard rock melmoso.

Proving Ground è un’auto-produzione realizzata a cinque anni di distanza da Parallel Corners e intervallata dall’ottimo demo Bridges To Burn, nel quale fanno la loro comparsa il bravo cantante Brian Balich e (in veste di ospite) Brian Lawrence Goodbread. Il suono si indurisce e vengono relegati al passato gli influssi melodici che avevano reso speciale Parallel Corners, rendendo palese l’intenzione di puntare sull’impatto di “Bitter” e “Cloudless”. A occuparsi delle linee di basso è Ron Leard, il cui strumento ha un ruolo preponderante nell’economia della semi-strumentale “Never Lost” e nell’accompagnare le percussioni di “Pain”. Nonostante si tratti di un’opinione che potrebbe modificarsi nel tempo, ritengo Proving Ground l’anello debole nella carriera dei Penance, in particolare a causa di eccessive pesantezza e omogeneità.

Nel 2001 si assiste a ulteriori avvicendamenti all’interno della band, con l’avvento di Matt Tuite alla chitarra e Mary Bielich di Mythic e November’s Doom al basso. Questa line-up pubblica la doppia release Alpha & Omega / Turn For The Worse, prodotta dallo stimato ingegnere del suono Chris Kozlowski ai Polar Bear Lair e caratterizzata da un heavy rock dalle tinte hardcore. I brani inclusi sono ispirati e orecchiabili, talvolta impreziositi da una pulizia del suono e da un gusto melodico memore di Run To The Light. La bontà del lavoro svolto consente ai Penance di esibirsi dal vivo in numerose occasioni al fianco di Spirit Caravan, Warhorse, Electric Wizard, Raging Slab e Earthride, ponendo fine agli anni di relativa inattività intercorsi in seguito alla pubblicazione di Parallel Corners.

Spiritualnatural è probabilmente il migliore album registrato dai Penance ed è anche quello che ne ha decretato il decesso. Le composizioni in esso contenute si mantengono sul medesimo livello di Alpha & Omega, abbracciando alcune soluzioni inedite, quali ad esempio il ricorso alla cornamusa in “The River Ara” e al mandolino in “Iron Curtain Blues”. Pur mantenendo le coordinate stilistiche del suo predecessore, Spiritualnatural recupera gli spunti melodici e intimisti accennati in precedenza, affrontando in maniera credibile tematiche come solitudine e disperazione. Il suono della chitarra di Terry Weston e Dave Roman diviene orecchiabile e fa da contraltare all’attitudine senza compromessi di “Regret”, della splendida “Long Suffering” e del classico heavy rock di “Starshine” / “Dawn Of A New Day”. La passione che muove i musicisti coinvolti è indubbia e l’interpretazione offerta da Brian Balich sta a confermarlo, aggiungendo quell’emotività che altrimenti mancherebbe a una formula sonora che poggia da sempre le proprie basi sulla compattezza della sezione ritmica.

Per chi scrive è superfluo evidenziare quanto la band di Pittsburgh, seppure relegata alla categoria di quelle che si suole definire di culto, abbia ricoperto un ruolo di prim’ordine nella storia della musica del destino. Ora che è tornata a calcare gli assi dei palchi dei festival a tema, non resta che renderle i dovuti onori…

Dream Death

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