A fronte dell’allungamento dell’età lavorativa voluta dallo Stato vi porto le mie considerazioni.
L’immagine dell’anziano è cambiato nelle epoche storiche passando da uomo saggio, a peso per lo Stato per via delle pensioni e delle spese sanitarie.
L’anziano non riesce a fare fronte alle richieste delle molteplici agenzie d’informazione e alle tecnologie per cui da una parte è costretto a ruoli lavorativi subordinati e dall’altra è obbligato a lavorare lottando nella ricerca di uno spazio e nel tentativo di mantenere un’immagine positiva di sè contrastato dall’immagine collettiva dell’anziano incapace, e dall’altro dalla sensazione di occupare il posto di lavoro che un giovane avrebbe più diritto a ricoprire per via della crisi, senza considerare poi il fatto che le aziende sono agevolate fiscalmente a trattenere in azienda lavoratori anziani.
Quindi se è vero che l’anziano desidera e ha bisogno di sentirsi socialmente attivo, non può essere obbligato a lavorare in quella che dovrebbe essere l’età del pensionamento.
Questo riguarda soprattutto persone che hanno svolto lavori pesanti e hanno diritto al riposo meritato.
La soluzione che mi sembra più ovvia, e alla quale nessuno ha mai pensato, è la riconversione degli anziani nel quarto settore. Pensionati sani e intraprendenti che per desiderio o necessità di “arrotondare” vogliono lavorare, dovrebbero essere coinvolti da associazioni in iniziative di cura e trasmissione di conoscenze legate all’esperienza, contribuendo così anche alla diffusione di una nuova immagine positiva dell’anziano che per effetto del nuovo ruolo e dei nuovi saperi aquisiti su un nuovo stile di vita sano (diffusione di buone abitudini – anche a tavola per esempio – acquisite nel nuovo impiego sociale) si ammalerà meno facilmente e sarà realmente utile per la società e per se stesso.