Peppino Impastato
Un momento importante della strategia politico-culturale di Peppino Impastato, è segnato dalla costituzione del circolo “Musica e cultura”, che ebbe sede a Cinisi, in via Faro Pizzoli,242. Si tratta del tentativo di esperire forme di organizzazione del sociale e dei fatti culturali, le cui attività prevalenti sono: il cineforum, le mostre mercato itineranti, i murales, le rappresentazioni teatrali e la costituzione di una “Biblioteca decentralizzata” che così Peppino spiegava nel documento costitutivo:
“Si tratta di una biblioteca collettiva o decentralizzata, nel senso che ogni proprietario che fa parte dell’organismo tiene a casa propria i suoi libri e una copia degli elenchi (dei libri, dei bibliotecari e degli utenti). Ogni proprietario farebbe così� da bibliotecario alla frazione della biblioteca che egli gestisce”.
Era una “campagna di lettura e di studio” che nasceva contro i processi di omologazione e di schiacciamento culturale già avvertiti da Pier Paolo Pasolini e che a Cinisi, in quel circolo, trovavano forma organizzativa e impostazione teorica. Spiegava Peppino:
“Il risveglio culturale e politico degli ultimi anni, il prorompere sulla scena della storia delle nuove generazioni e il loro assurgere a livelli sempre più alti di responsabilità sociali e culturali, la crisi della scuola come veicolo per la trasmissione dell’ideologia dominante e la sempre crescente aggressività mistificatrice dei mezzi di comunicazione di massa, ci pongono compiti e problemi nuovi che vanno affrontati e risolti sul terreno della massima apertura intellettuale e dell’informazione culturale. A questo scopo riteniamo sia importante -continuava- promuovere e sostenere ogni sorta di iniziativa in grado di coinvolgere strati sempre più ampi di giovani lavoratori e studenti, e che si muova nella direzione di proporre contenuti e valori alternativi alla vecchia cultura idealistico-repressiva e all’ideologia consumistico-totalizzante affermatasi nell’ultimo decennio e con crescente sviluppo economico distorto e finalizzato al superfluo”.
Seguivano tre regolamenti, per l’utente, per il “nucleo direttivo” e per i bibliotecari che descrivevano con minuzia di particolari le regole per il funzionamento del nuovo servizio culturale.
Peppino, oltre ad elaborare, con gli altri del suo gruppo, il progetto della biblioteca collettiva, vi prese parte come “bibliotecario” mettendo inizialmente a disposizione degli altri un primo elenco di 74 libri. C’è poco di Lenin e mancano del tutto Carlo Marx e Pasolini, che tenne gelosamente per sè. Tra i testi che si occupavano della conoscenza del fenomeno mafioso, riscontriamo quelli di Michele Pantaleone e di Daniele Novacco, ma non quelli di Danilo Dolci, del quale, tuttavia, non aveva condiviso il pacifismo inerme, fondato sui tempi lunghi di una “coscientizzazione”, che non si costruiva mediante l’azione di un gruppo, ma attraverso un percorso ‘maieutico’ che si sorreggeva più su una dimensione duale, intersoggettiva,e quasi mistica della relazione, che non su un progetto politico collettivo.
Vi erano poi le attività del cineforum. I film erano accuratamente selezionati e ed erano proiettati dopo una presentazione. Seguiva, alla fine, un dibattito. Dai ciclostilati del ’76, rileviamo “Uccellacci e uccellini” che Pasolini aveva girato nel ’66, assumendo come “base organica” ”Le ceneri di Gramsci”, e, dello stesso regista, “Il vangelo secondo Matteo”; “La confessione” di Costa Gravas, versione dell’ “Aven” di Arthur London; “Bronte” di F. Vancini. Di Bibermann si proiettava “Il sale della terra”, un film sul ruolo delle donne in uno sciopero di minatori. Il film faceva parte di una serie di documentari-inchiesta sulla condizione femminile, e serviva ad introdurre un dibattito con la presenza delle rappresentanti locali del collettivo femminista fondato da Peppino. Ma, dalle locandine redatte a mano dallo stesso Peppino, recanti ancora la marca da bollo per l’affissione nei pubblici esercizi, rileviamo, ancora, la proiezione di “Giulietta degli spiriti”, e della “Strada” di Fellini, di “Achtung Banditi” di Carlo Lizzani, di “Bianco e nero”.
Non sarebbe anacronistica una simile iniziativa oggi. Resta in piedi, infatti, la necessità di costruire dal basso le forme alternative dell’attuale sistema culturale basato sulle logiche del consumo, e sulla distruzione dei valori della resistenza. Ci sembra, in particolare, molto interessante il solidarismo nel processo di costruzione delle conoscenze, che anche la sinistra ha smarrito totalmente.
GC