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Capita anche che questo primo discorso serio e tosto ("siete sempre pronti a fare gli avvocati e i poliziotti: mai che proviate, voi per primi, ad affrontare la vita con uno specchio in mano"), cada di giovedì all'una meno un quarto, cioè negli ultimi minuti con loro della 'povna prima del weekend.
Capita infine che il lunedì successivo li aspetti (già fissato da tempo) il primo tema, a braccia aperte. Capita ancora che la 'povna non possa (e anche non voglia) lasciarsi sfuggire l'occasione ghiotta per rielaborare tutto questo, andando a costruire (chissà - e lei, è noto, è un'utopista) il primo tassello del loro collettivo immaginario.
E capita che Inquieta (che la 'povna ha avuto modo di individuare fin dal primo giorno) si faccia trovare, riemersa dai gorghi dell'oscuro fondo classe, al primo banco; e che si butti vorace sulla traccia, producendo (con la consueta grafia tonda, così tipica della femminile adolescenza) volute su volute di scrittura.
Capita poi che, una pagina febbrile dopo l'altra, sollevi a un certo punto la testa, indirizzando alla 'povna una domanda che è in qualche modo attesa, e familiare:
"Professoressa, ma quello che scrivo lo legge solo lei, vero?".
La 'povna non può che rispondere dipanando le pieghe di una verità complessa, senza nulla nascondere allo sguardo puntiglioso che la scruta con uno strano misto di cautela fiduciosa. Spiega dunque a Inquieta che, sì e no, perché il tema è un documento.
"E dunque io mi posso impegnare a non far leggere il tema a nessun altro, e neppure alla tua mamma. A patto ovviamente che nessuno me lo chieda. Devi considerare però che di fronte a una domanda ufficiale della preside, dei genitori, del consiglio di classe o di chi comunque ne ha diritto, la scuola non può fare altro che prendere atto, e consegnare il materiale".
Inquieta annuisce brusca, poi riabbassa la testa.
"Ti stai chiedendo quale parte togliere?" - azzarda la 'povna con assoluta titubanza (il momento, come si dice, è solenne; e lei ha molta paura di sbagliare).
"No, no, mi riposavo la mano, che per ora ha scritto tanto" - risponde Inquieta brevemente. E poi la campanella suona, "nome, cognome e portatemi qua i fogli", e tutti a casa.
Incuriosita, va detto, di fronte al primo tema, la 'povna lo è sempre e comunque. E lo resta, anche e a maggior ragione, in questo caso.
Le due ore di compito dei Merry Men, nel loro bosco accogliente, forniscono l'occasione giusta e la 'povna fruga nel plico dei Pesci quasi a colpo sicuro.
La prosa di Inquieta (prevedibilmente) è già di buon livello, e la 'povna legge con curiosità e passo spedito. Quello che sta per trovare, in qualche modo, se lo aspetta. Eppure le parole sanno essere brutali.
"Sono nata per errore; e un errore è stato anche il matrimonio dei miei genitori". Altri dettagli, lucidi, spietati, coerenti seguono quella che si rivela una descrizione tutto sommato non enfatica. E la 'povna legge, squadernata su fogli protocollo, la fatica (costante) di stare sempre in mezzo tra due culture e tra due mondi. Quella fatica che - dice la scrivente con un tocco di ironia che sa di ghiaccio - sarebbe difficile comunque, e diventa più complessa quando si parla di mancanza di rispetto, botte, urla, rapporti senza amore.
E la 'povna resta lì - mentre intorno i Merry Men, gigioni, sorridono a trentaquattro denti - come una statua di marmo. E d'improvviso il sistema di riferimento ruota di 180°, tutto. E pensa che dei Pesci lei non ha capito niente. E pensa alle puttanate dei concorsi, dei quiz, dei tunnel, del Ministero, di tutto. E mentalmente - mentre si dà della cretina una, dieci, cento, mille volte - ringrazia una ragazzina dagli occhi fieri e un po' arroganti. Che le ha ripassato, oggi, la lezione più giusta. Ricordandole i veri motivi per i quali - l'altro ieri, ieri, e ancora oggi - è solo privilegiato e bello poter essere considerati degni di una risposta così enorme. Perché non c'è solo famiglia, grazie al cielo, ma una società che educa. E lei (che pure ne ha viste lavorativamente tante), quando le fanno la domanda, è solo fiera di poter rispondere, ancora, e ancora con orgoglio: "Faccio l'insegnante. A scuola".
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