di Rina Brundu. Ho grande ammirazione per Ilaria Cucchi, come di norma ce l’ho per ogni persona forte. Ho grande ammirazione per la determinazione con cui ha sostenuto la famiglia nella sua sacrosanta battaglia per avere giustizia per il fratello Stefano. Perché Stefano in fondo aveva il sorriso dolce di ogni nostro congiunto, degli esseri più cari che vogliamo proteggere da tutto. E da tutti. In questo caso anche da quegli organi preposti dallo Stato a difenderli. A difenderci.
Iter giudiziario a parte, credo che Ilaria e la sua famiglia abbiano fatto un percorso importante; abbiano contribuito a darci maggiore coscienza di quelli che sono i nostri diritti inviolabili, ci abbiano consegnato una forza che forse prima non avevamo, ci abbiano mostrato una strada. Di questo occorre essere loro grati, nel ricordo di Stefano, a cui credo sia legittimo intitolare quella via che porta al tribunale, in Roma, come da richiesta di Ilaria. In quanto esseri finiti abbiamo bisogno anche di simboli, di pietre miliari che ci aiutino a ricordare i vecchi peccati, a scorgere meglio le loro lunghe ombre, a renderci cittadini migliori nel futuro.
Detto questo, non nascondo di provare un po’ di fastidio per i cori di sottofondo, sovente non richiesti, che cominciano a formarsi intorno a questa storia suo malgrado troppo mediatica. Tra i tanti, ho letto il post pubblicato sul blog di Adriano Celentano. Immagino che questo scritto sia scaturito dal desiderio di dare appoggio a questa importante battaglia civile ma fondamentalmente non lo condivido. Non ne condivido lo spirito idealizzante uno status quo d’amore perfetto, di luce “eterna” e “vera”, di amore del “Padre che Perdona” di cui si godrebbe in quell’altro-mondo dove Stefano starebbe ora. Non ne condivido lo spirito evangelizzante quando il vangelo si limita ad essere racconto di improbabili gesta di santi, di angeli e di arcangeli, di spiriti illuminati e sommamente giusti. Non ne condivido l’intento manicheo, l’opposizione vita eterna che è luce vs vita terrena dove si respira aria “maleodorante”. La nostra vita terrena è l’inferno o il paradiso che noi la rendiamo. La nostra vita terrena vive dell’amore che noi siamo in grado di provare. Ogni giorno. Sovente dando un esempio.
Non ho titoli per dare consigli ad Ilaria Cucchi, e mi rendo conto che questo mio dire va in altra direzione dalla bagarre che si è scatenata in Rete, però ritengo che lei e la sua famiglia abbiano davanti a loro una possibilità importante per rendere questa storia ancora più straordinaria, per rendere somma giustizia a Stefano, quella possibilità è il perdono. Un perdono senza se e senza ma. Senza condizioni. Un perdono che non fa sconti e lascia il colpevole a confrontarsi con la sua sola coscienza. Questa è infatti una di quelle rare storie che, a mio avviso, mercé la determinazione con cui la giustizia è stata cercata e l’eco che ha sollevato, si chiuderebbe al meglio percorrendo quella strada soltanto.
Diceva Ganghi che solo chi è forte è capace di perdonare: il perdono è la qualità del coraggioso, non del codardo.
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