Inutile, cioè, andarsi a leggere un romanzo solo perché si è visto il film (simpatico) e visitato il Paese (gelido ma spettacolare).
Helgason, giustamente, rappresenta solo se stesso, non certo l'Islanda.
Usa tutti gli strumenti dell'artista multimediale d'avanguardia, e per
di più in un'epoca in cui la globalizzazione fa sì che il suo
protagonista non possa non ascoltare la stessa musica, bere gli stessi
drink, vedere gli stessi film e indossare le stesse marche di abiti dei
suoi coetanei di tutto il resto del mondo.
Il che lo rende molto
onesto ma non molto esotico, tanto più che la vita in una piccola
capitale del Nord Europa di esotico ha per forza di cose ben poco.
Aggiungiamo, ed è questo il limite del romanzo, che dati gli orizzonti
psicologici e gli ideali del protagonista, per almeno due terzi non
succede quasi niente, il che non lo rende interessante nemmeno come
romanzo di formazione, dato che il suddetto ritiene di aver già capito
tutto della vita.
Troviamo quindi nel romanzo problematiche
sociali ed etiche, e uno humour nero post esistenzialista, che
potrebbero benissimo adattarsi a un accidioso disoccupato mammone
edipico italiano (un bamboccione porno-addicted).
O americano, o perfino giapponese (i giapponesi hanno
perfino un termine per definirli, quelli sempre rintanati in casa col
telecomando come Hlinur).
Piaciuto? Sì, forse troppo lungo, ma ben scritto.
Hallgrìmur Helgason
101 Reykjavík
Guanda (Narratori della Fenice), 2001
p. 360