Magazine Per Lei
Pubblico questo post a distanza di qualche settimana dall'intervista al ministro Gelmini. Per non dimenticare e sottolineare quello di cui non ha parlato.
Ho iniziato il congedo obbligatorio per Leo alle fine dell'ottavo mese di gravidanza e sono rientrata a lavoro ai suoi sette: cinque mesi di obbligatoria (!) e tre di facoltativa. Avevo un lavoro di responsabilità ma non ero un manager di alto livello. Sarebbe bastato un vento contrario e in azienda, dove lavoravo da sette anni, mi avrebbero potuto mettere in un cantuccio e convincermi a cambiare priorità. Sono stata fortunata, l'azienda si è comportata bene. Leo è stato seguito sette ore al giorno da una baby sitter, assunta e retribuita in regola, fino ai suoi dodici mesi, tempo in cui potevo contare sul part-time. Dai dodici ai quindici mesi le sette ore sono diventate 10. Ai quindici mesi abbiamo inserito Leo in un nido privato, 450 euro al mese, dalle 7.30 alle 13.30. Dalle 13.30 alle 18.00 con la baby sitter. Ai due anni Leo è riuscito a entrare in un nido comunale part-time dalle 7.30 alle 13.30. Una situazione curiosa perché nessuno mi toglie dalla testa che sono riuscita ad avere quel posto perché le famiglie che non hanno una copertura nel resto della giornata non possono permettersi di mettere nella lista di scelta un nido part-time. Tant'è che in quel nido la maggior parte delle famiglie non avevano grossi problemi economici. Neanche un extra-comunitario. Guarda caso. Il resto di nuovo baby sitter.
Con Picca il congedo obbligatorio è partito alle fine del settimo mese perché ho avuto una minaccia di distacco della placenta, se no avrei proseguito fino alla fine dell'ottavo. Si usa dire "meglio averli dopo che prima". Sono rientrata al lavoro ai suoi sei mesi. Cinque mesi di obbligatoria (!) e tre di facoltativa. Il lavoro era lo stesso. Il caso ha voluto che il mio capo fosse anche lei in maternità e quindi tornando sono stata incaricata di parte del suo lavoro. Dal punto di vista dei contenuti quindi l'azienda, al rientro della maternità mi ha premiata. In quel periodo anche Picca è stata seguita dalla baby sitter sette ore al giorno, fino ai suoi dodici mesi. Ai dodiici mesi abbiamo inserito Picca in un nido privato, 480 euro al mese, dalle 7.30 alle 13.30. Dalle 13.30 alle 18.00 con la baby sitter. Ai due anni anche Picca è riuscita a entrare nello stesso nido comunale part-time dalle 7.30 alle 13.30, con la stessa logica. Il resto seguiti entrambi dalla baby sitter.
In quel periodo la nostra baby sitter rimase incinta e grazie al fatto che fosse assunta regolarmente ha potuto godere dei diritti che le spettavano, compresa l'anticipazione del congedo per lavoro pesante (non mi sarei mai perdonata di mettere a rischio la sua gravidanza per seguire i mie due figli).
Non voglio farmi dire brava. Se lo pensate o me lo dite non avete capito nulla. Voglio solo testimoniare i noiosi dettagli perché secondo i crismi del ministro Gelmini io dovrei fare parte delle donne "privilegiate", quelle che come lei dovrebbero rientrare prima al lavoro, alla faccia delle leggi (tutti abbiamo notato questo aspetto ma non ho ancora capito come questo sia stato possibile), quelle che dovrebbero dare il buon esempio alle donne "normali". Ma io non mi ritrovo in questo tipi di privilegi né in altri tipi di normalità. Tutto è relativo e nessuno di noi è normale. Ed è grazie a queste contrapposizioni stereotipate che magari tendiamo a giudicarci, l'una contro l'altra, invece di allearci a favore dei diritti della famiglia.
Mai ho pensato che sarei dovuta rientrare prima, mai ho pensato che si dovessero mettere in discussione le leggi esistenti se non in termini migliorativi, attivando opportunità più decise per i padri, per esempio.
Ho camminato sui miei carboni ardenti barcamenandomi nelle mie opportunità, con un atteggiamento prudente e rispettoso di tutte quelle numerose famiglie che non hanno la possibilità di rientrare nel regime che dovrebbe di diritto spettare a tutti. La famiglia non può essere vissuta come un sacrificio. Al contrario rappresenta il veicolo di continuità della ricchezza umana e se non la salvaguardiamo, sosteniamo attraverso leggi che garantiscano i suoi diritti ci troveremo presto individui in solitudine senza alcuna prospettiva di crescita, di evoluzione.
Ho letto e commentato quell'intervista con un profondo senso di amarezza. Mi sono unita al coro delle numerose testimonianze in rete e non.
Ha ragione la mia amica A. quando dice che in questo paese non c'è la possibilità di realizzare la conciliazione tra famiglia e lavoro. Ti devi solo destreggiare quotidianamente e sopravvivere, provare a cambiare piccole cose, trovare il tuo equilibrio. Non c'è modo di fare bene entrambe le cose. Se per scelta o necessità fai le due cose, non sarai mai la migliore nell'una e nell'altra. E per questo avremo sempre qualcosa da ridirci, ci sarà sempre qualcuno in grado di dirti cosa è meglio.
Ha ragione la mia amica Ondaluna quando si sente nello sconforto a crescere sua figlia in un campo vitale di questo genere. Ha ragione quando dice che siamo responsabili solo di fronte a noi stessi delle scelte che facciamo per la nostra famiglia.
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