( La libertà tra onnipotenza e ragionevolezza)
di Adelio Valsecchi
Per riconoscere le ragioni profonde della complessità che affiorano nella “Cultura Moderna” è necessaria un’indagine retrospettiva nella storia del pensiero occidentale per cogliere i tratti più emblematici a partire dal mondo greco-romano. Seguendo questo percorso ci può stupire il fatto che il pensiero sulla libertà proposto dalla saggezza antica, sia a volte contraddittorio se si interpreta secondo le correnti mappe mentali.
Ma se ci immedesimiamo nella cultura di quei tempi, possiamo comprendere come le apparenti o manifeste antilogie siano le conseguenze dei criteri di avvicinamento alla conoscenza cosmologica e antropologica, alla sua interazione con l’uomo, alla percezione a tratti infantile del suo limite, alla pratica religiosa.
Vi sono teorie in cui si asserisce che la libertà dell’uomo è assoluta e non subordinata a condizionamenti. L’uomo, dicono altri pensatori, non è sostanzialmente determinato nel suo essere libero. Di chiunque sia la ragione, è più saggio partire dal presupposto che non possa esistere una libertà assoluta, perchè si ha diretta esperienza dei limiti umani. Posta questa premessa, si può sostenere che il primo interrogativo sulla libertà dell’uomo risiede nella relazione di dipendenza da qualcuno o qualcosa che lo trascende. Ė il primo sentimento di emarginazione. Ė la presa di coscienza che l’uomo è circoscritto da un tempo e uno spazio che non può travalicare. La sua volontà non può opporsi all’evento della nascita e della morte che appartengono ad una necessità universale predeterminata da una Legge o da una Ragione immanente al mondo. E questo è un problema antico e cruciale per comprendere il valore che riveste in questo contesto la libertà.
L’eroe, nella tradizione del teatro greco, si adegua al Fato e accetta con naturalezza il suo compiersi. La libertà non appartiene all’uomo, ma alla legge del Destino a cui sono sottoposti anche gli dei.
Nella filosofia platonica ed aristotelica, la libera volontà e la responsabilità dei propri atti appartiene all’uomo come principio irrinunciabile. Le determinazioni esterne non precludono la libertà interiore del conoscere e dell’agire. La libertà assume già una connotazione etica.
Per Platone è l’uomo l’unico responsabile della sua storia e delle sue scelte. La Scuola Aristotelica ritiene determinante il discernimento della realtà e le circostanze che interagiscono. Infatti il principio dell’atto volontario risiede nella mente umana, la quale percepisce e riconosce tutti i dettagli dell’azione. Per la scuola stoica, accogliere con rassegnazione la propria finitezza e accettare di essere dominati da un Destino rende l’uomo saggio, virtuoso e felice.
La filosofia ha promosso lungo i secoli un cambiamento continuo delle idee. Le medita, le critica, le rielabora, le completa, rispondendo sempre alla ragionevolezza dei quesiti più urgenti dell’uomo.
Tra le figure più rappresentative della cultura romana ricordiamo Lucio Anneo Seneca, acuto conoscitore dell’animo umano. Rivolgendosi all’amico Lucilio così scrive sollecitandolo ad usare la filosofia per vincere l’ansia della vita e della morte :« O c’è un dio che ha prevenuto ogni mia decisione e ha stabilito che cosa debbo fare, oppure c’è la fortuna che nulla concede alle mie decisioni……Sia che il Destino ci incateni con la sua Legge inesorabile sia che un dio, signore dell’universo abbia predisposto tutte le cose, sia che il caso spinga e agiti confusamente gli umani eventi, nella filosofia noi dobbiamo cercare la nostra difesa. (Lettere a Lucilio, L’arte del vivere, pag. 37 ed. Rizzoli, 1993).
Il grande Plotino, due secoli più tardi, aveva in un primo tempo rifiutato l’esistenza della libertà per l’uomo in quanto succube delle pulsioni e degli istinti che ci determinano: «Noi ci domandiamo perplessi, scrive, se non siamo, per avventura, altro che nulla e che nulla sia rimesso alla nostra libertà ». Nella maturità non solo si ricrede ma supera i confini del pensiero aristotelico sostenendo che « la libera volontà è consapevole non solo dei particolari e delle circostanze di un’azione ma anche dell’«universale». Plotino è convinto che il fondamento della libertà è la consapevolezza che si fonda sul corretto ragionamento. «Colui che opera sotto l’impulso delle passioni non si può considerare un uomo libero». A chi invece, sottolinea Plotino, « per la virtù operosa del suo intelletto, è immune dalla passionalità del corpo, attribuiremo la vera libera indipendenza».
Il liberto Epitteto, di scuola stoica e molto vicino al cristianesimo del II sec.,definisce con lucidità la relazione che intercorre fra la ragione, la volontà umana e il mondo esterno da cui affiora il bene o il male, a seconda che le nostre scelte siano aderenti o estranee alla ragione. L’essenza del bene o del male quindi è posta dalla nostra volontà razionale.
Per la filosofia precristiana saggezza e libertà è un binomio che non può essere disgiunto. Non c’è vera libertà senza saggezza e non c’è vera saggezza senza una libertà incline alla ragionevolezza.
L’avvento del cristianesimo e il suo processo di acculturazione del mondo pagano sarà favorito da una prospettiva culturale che già ha raggiunto un alto modello etico.
Per S. Agostino l’uomo esercita la sua libertà solo se tende al bene. La volontà che propende al male è schiava del male e della passionalità, triste retaggio dell’«uomo vecchio» (Adamo) nonostante la grazia e la salvezza che Dio ci offre gratuitamente. In questo esplicito argomentare, la libertà è prima sedotta poi guidata dalle facoltà razionali dell’uomo.
Scoto Eriugena, erudito rappresentante della cultura del IX secolo, è un intransigente razionalista: « ubi rationabilitas ibi necessario libertas ». Dove c’è la ragione necessariamente vi è libertà. Il filosofo valuta tutto : lo specifico umano, la realtà come oggetto del nostro agire e la relazione che intercorre con essa. Distingue le finalità, le circostanze e analizza la tensione dinamica delle nostre scelte. La libertà è espressione dell’ordine che l’uomo dà al suo pensiero e al suo agire. Tutto ciò che esula da questa relazione porta a una libertà non autentica.
Nella cultura medioevale è usuale la manipolazione della parola come strumento sottile per organizzare le infrastrutture delle idee, delle realtà umane e divine più complesse.
L’esempio più ridondante è il modo di rappresentare la verità delle cose in S. Anselmo che definisce la libertà « la capacità di rispettare la rettitudine del volere per la rettitudine stessa». L’uomo è libero perchè all’interno della sua libertà vi è la ragione d’essere della libertà e la sua dimensione etica.
Tommaso d’Aquino, va oltre ed aggiunge un altro tassello all’iconografia della libertà, predisponendo «un ordine delle finalità» nella realtà oggetto della scelta dell’uomo. Quando nell’azione libera delle scelte si rispetta l’ordine delle finalità insite nelle idee e nella realtà, allora l’uomo esercita in modo perfetto la libertà. Se nel suo relazionarsi, stravolge l’ordine delle finalità, non è più vero arbitro della sua libertà :«Il poter volere il male, scrive Tommaso, viene dalla libertà, però da un suo difetto, non da una sua perfezione; come il poter sbagliare nel trarre una conclusione dalle chiare premesse di un discorso, deriva da un difetto dell’intelletto».
Dopo il XIII secolo il concetto di libertà assume diverse accezioni secondo un’ermeneutica di carattere filosofico o teologico. Il volontarismo della scuola francescana riteneva che nell’atto libero è indifferente il motivo della scelta fra due realtà concorrenti. Ė irrilevante la ragione di una scelta; ciò che qualifica la libertà sta nell’atto stesso di volere. Pico della Mirandola e Erasmo da Rotterdam, esponenti insigni dell’Umanesimo, recalcitranti alle sottigliezze filosofiche del loro tempo, hanno della libertà un nobile concetto: se Dio crea l’uomo libero e a sua immagine e somiglianza, la libertà appartiene ad una dimensione divina, a cui l’uomo non può rinunciare e sull’esercizio di questo valore verrà giudicato. Responsabilità e libertà sono quindi paradigmi interdipendenti
Martin Lutero è al contrario succube dell’idea che l’uomo non possa essere libero perchè figlio della colpa originale. L’uomo comune si dibatte nell’attesa che Dio, nel suo imperscrutabile disegno conceda per grazia, fede e libertà all’uomo. Non vi è fede senza libertà, non vi è libertà senza fede.(De servo arbitrio). Solo l’uomo di grande fede può ospitare in sé una vera libertà sancita da Dio.
Nel secolo in cui l’uomo si avvede che la realtà circostante non ha nulla di magico, ma è presieduta dalle leggi fondamentali della natura e una parte della filosofia si trasforma in epistemologia, Cartesio e Malebranche difendono il concetto di libertà della “persona” come fulcro su cui si muoveranno, con alterne vicende, la storia e la scienza. Per il primo la libertà, legata sempre alla consapevolezza di sé, si esplicita nell’offrire o non offrire il proprio assenso, quando gli scopi del nostro agire sono opportuni alla dignità dell’essere umano perno e avanguardia del futuro del mondo. Per Malebranche la libertà è quella potenzialità plasmata da Dio nel cuore dell’uomo che esprime la volontà di pensare ed agire con autenticità e coerenza. L’uomo può liberamente esercitarla o liberamente rifiutarla.
Per il tedesco Leibniz, filosofo, giurista e matematico insigne, la libertà è un innato compimento del proprio essere, già prescritto dall’eternità. Egli infatti è convinto che nell’uomo, nella natura e nell’universo tutto è necessariamente concatenato e preordinato dalla Monade Superiore (Dio) che invade il cosmo con la sua armonia.
Nella filosofia inglese e francese del XVIII secolo si opera una speculazione che emargina la libertà. Essa diviene un astratto arbitrio. Perde il suo dinamismo etico. Si svilisce, smarrendo la sua originaria preponderanza nell’agire progettuale umano.
Nella fattispecie Locke e Hobbes, pongono la libertà ai margini della conoscenza e della prassi, svuotandola dei suoi significati. L’uomo, essi insegnano, non ha la facoltà di volere liberamente ma può agire come meglio crede. Sul piano intellettivo non ha una libertà assoluta. Sul piano pratico è libero di muoversi seguendo qualsiasi intempestivo volere. Si produce così uno scollamento fra la conoscenza e la responsabilità etica.
L’illuminista Voltaire, col disincanto della “ragione”, vagheggia un uomo nuovo, riformatore di se stesso e della storia e pensa una libertà come una volontà e un potere su se stessi e sulla realtà :
«Essere veramente liberi è potere. Quando posso ciò che voglio, ecco la libertà ; ma ciò che voglio lo voglio necessariamente ».Questa libertà con la ragione non ha alcuna intesa per evidenti incongruenze. Se la libertà è potere e posso fare ciò che voglio, perchè poi l’uomo è determinato nel pensiero e nell’azione dalla necessità?
Il padre dell’esistenzialismo francese Jean Paul Sartre si diletta a destrutturare la libertà, cosciente che ogni gesto umano, ogni invenzione ideale, sono effimere esperienze, condannate ad essere solo nel presente senza futuro né umano né trascendente. E aggiunge : «Io sono condannato a essere libero: ciò significa che non si possono trovare alla mia libertà altri limiti che la libertà stessa o, se si preferisce, che non siamo liberi di cessare di essere liberi».(L’Essere e il Nulla).
Egli prospetta una libertà che corre freneticamente, senza conoscere altra direzione se non il proprio mondo onirico, da cui poi riparte per un’altra incessante corsa. E’ una libertà che per essere se stessa, diventa soverchieria.
L’uomo che vuole superarsi, deve volare alto con il suo pensiero se vuole raggiungere l’apogeo della libertà. Ma al volare alto sembra ci siamo disabituati, si lamenta con tono icastico la poetessa Vivian Lamarque sul “Corriere della sera” del 23 Aprile 2011 : « Non vola quasi più niente alto. Tanto meno le idee, i valori, le parole, i progetti, nella migliore delle ipotesi è un rasoterra, un goffo tentativo di volo come quello delle galline spaventate che al massimo riescono a raggiungere il loro trespolo».
Forse nel mondo contemporaneo, hanno superato “il gallinaceo trespolo” pensatori di spessore come Giovanni Gentile, Martin Heidegger, Augusto Del Noce, Luigi Sturzo, perché nell’alveo del loro pensiero si lavorava di trama e di ordito per lasciare in eredità all’uomo del terzo millennio un pensiero alto, senza sovrastare la voce dell’altro, con il coraggio dei mansueti, con la ragionevolezza di una antropologia che difende la dignità dell’uomo e la sua libertà, autentica, condivisa perché rispettosa di tutti, senza grovigli faziosi, senza l’analfabetismo del cuore.
Costoro si sono impegnati a sviscerare, sempre in un orizzonte antropocentrico, i sottili intrecci che intercorrono fra la mia e l’altrui libertà, a sgranare gli aspetti più nascosti della libertà con spirito critico costruttivo, a recuperare anche la ragione etica che risiede in ogni azione umana se vuole essere libera.
Per Giovanni Gentile la libertà è come una necessità dell’essere che coincide con la libertà dello spirito; una libertà che fonda le ragioni e le necessità della vita.
L’uomo, secondo il filosofo Augusto Del Noce, ha la capacità di autodeterminarsi in quanto la “volontà come libertà” risiede nella tendenza naturale e invincibile al Bene.
Don Luigi Sturzo fonda la sua speculazione filosofica sull’uomo come identità personale e come valore intrinseco. Perciò l’uomo non può essere considerato un mezzo, ma sempre un fine, un termine di confronto nel contesto della società. E la sua libertà, è un virtuoso dinamismo, è una forza che prorompe dall’interiorità, libera, feconda, svincolata da qualsiasi estraneo condizionamento. L’uomo tanto vale, quanto vale la sua libertà che dipende dalla sua razionalità : «Non c’è libertà dove non c’è razionalità …..La libertà è una necessaria conseguenza della nostra natura razionale».(La società, sua natura e leggi, pag. 161).
Se Jean Paul Sartre vede nella libertà un carattere costitutivo dell’esistenza, Martin Heidegger si dissocia da questa posizione sostenendo che la libertà è rapporto con l’essere, strumento di autodeterminazione dell’uomo; ma lungi dall’essere l’uomo a disporre della libertà; è la libertà a disporre dell’uomo, perché è in ragione di questa connessione con l’essere che l’uomo pianifica la sua vita.
Questo breve itinerario nella storia del pensiero, ci fa comprendere come nei secoli passati, la libertà era un oggetto di ricerca che indugiava nel vano empireo delle idee. Ma nel XX secolo, il senso vero della libertà, sarà in grado progressivamente di interagire con gli aspetti più concreti della vita umana. La società oggi è molto più composita, diversificata ed esige una elaborazione più concreta delle dinamiche sociali. In questo contesto vi è il convincimento che diritti e doveri debbano essere resi accessibili e praticati facendo riferimento all’ordine, alla regole, alle leggi scritte e non scritte.
Nel mondo cristiano Antonio Rosmini, Don Luigi Sturzo, Augusto del Noce, Cornelio Fabbro, P. Maria Turoldo, hanno lasciato in eredità una filosofia della libertà a largo spettro, in cui interagiscono, oltre alla legge istanza esterna all’uomo, tre importanti dinamiche interne: la democrazia, come epifania più esaltante della libertà nel sociale; l’etica della persona, come metro di misura della dignità umana; la coscienza, come consapevolezza di ciò che si è e di ciò che si fa. Sulla scia del loro pensiero, forse potremo superare il paradosso che oggi coinvolge la libertà umana: più l’uomo persegue il progresso e la civiltà, più sarà condizionato nella sua libertà dalle regole, strumenti essenziali di promozione sociale. Tolleranza solidale laica e carità evangelica possono contribuire ad affrancare l’uomo, a difenderlo dai soprusi dell’arroganza.
In questa prospettiva forse si può auspicare, che i profeti del pensiero alto, non abbiano parlato invano come a un vuoto deserto ma a una società viva; e abbiano suscitato nell’esercizio della libertà, una virtuosa trasformazione i cui esiti possano indurre l’uomo a scambiare il giusto con il bene, il bello con il buono, la tolleranza con la filantropia, la solidarietà con la carità. Sembra lo svelamento di una libertà onninvasiva che nulla toglie ai nostri naturali bisogni, alla parte migliore dei nostri ideali. Sembra rivelarsi una libertà dossologica che loda Dio e benedice l’uomo; una libertà trascendente nel senso etimologico del termine : un ‘opzione fondamentale che sale al di là, che supera e si fa luce, intercettando la dimensione creaturale e spirituale dell’uomo che abita qui sulla terra.
Tale libertà non è frutto di uzzoli velleitari, non adombra semi di follia, ma nasce dal vivere la vita con intensità e giudizio. In profondità. Con un’accortezza : superare l’ultimo scoglio per passare dall’amore della propria libertà, all’amore della libertà degli altri, come in un mistico abbraccio. In piena libertà. Da uomini veri.