Magazine Bambini
Domenica scorsa, sempre sul magazine Domenica24, Armando Masssarenti ha intervistato il grande sociologo...pubblico qui alcuni stralci, importanti riflessioni per il nostro lavoro di educatori.
Da cosa partire per ridefinire il benessere collettivo mettendo al primo posto i valori della conoscenza e della cultura?Oggi – risponde Morin – è più che mai necessaria una confluenza tra diverse riforme. Una riforma educativa che permetta di affrontare in tutta la loro complessità i problemi fondamentali delle persone in un tempo radicalmente nuovo come l'era planetaria. Sono i problemi che ho indicato nel mio libro I sette saperi necessari all'educazione del futuro: la natura complessa della conoscenza e il suo rapporto con l'incertezza, l'unità bio-psico-antropologica della condizione umana, il pianeta Terra come destino comune dell'umanità, l'etica della comprensione... Sono problemi che oggi richiedono una nuova formazione, anzitutto, dei formatori: la connessione fra la cultura umanistica (filosofia, letteratura, poesia, arti), le scienze dell'uomo e le scienze naturali per elaborare nuovo umanesimo, un umanesimo planetario, e per dare vita a un nuovo Rinascimento. E poi il superamento dell'attuale organizzazione del sapere, frammentato in tanti ambiti disciplinari unidimensionali che non comunicano fra loro, attraverso un pensiero complesso, capace di concepire la multidimensionalità di tutti i problemi importanti che si pongono con l'affermarsi vorticoso dell'era planetaria».
Cosa pensare allora dell'uso delle nuove tecnologie? Oggi i "nativi digitali" sviluppano capacità cognitive che se opportunamente indirizzate potrebbero anche avverare il sogno di John Dewey di una educazione democratica, volta a formare individui critici attenti ai reali problemi comuni. Le nuove tecnologie sembra che portino una maggiore propensione al problem solving e alla socializzazione, e si basano su un senso di gratuità contrario agli atteggiamenti egoistici o autointeressati.«Sono del tutto d'accordo – risponde Morin –. Oggi è più che mai necessario saper combinare la presenza concreta dell'educatore, del formatore, con le straordinarie possibilità cognitive offerte da Internet, Google, Wikipedia, eccetera. Per raggiungere questo obiettivo è necessaria quella riforma del pensiero di cui abbiamo parlato, perché occorre saper unire, connettere, combinare fonti del sapere che rimangono frammentate e separate. Con lo sviluppo della tecno-scienza e della società dell'informazione, diventa cruciale la sfida di quella che in varie occasioni ho chiamato la democrazia cognitiva. Con Internet si è ormai formata una sorta di gigantesco sistema neurocerebrale semi-artificiale, in espansione progressiva, del quale tutti siamo parte attiva. Non abbiamo soltanto un problema di strumenti educativi nuovi e più potenti, ma anche un problema di comprensione e di insegnamento di una nuova condizione umana, nella quale esseri umani e sistemi artificiali sono fortemente interconnessi tra loro in una nuova società unificata. Nonostante rischi notevoli per la libertà personale, Internet crea beni cognitivi comuni e apre la possibilità di fruire democraticamente di beni culturali fino a ora riservati a un'élite: beni d'immagini artistiche, beni musicali, beni letterari. Le riforme cognitive e educative che noi auspichiamo possono realizzarsi, almeno in parte, utilizzando le vie della rete. Esse sono in grado di contribuire alla costituzione di beni cognitivi e culturali comuni per la società-mondo in gestazione, che siamo chiamati ad aiutare a nascere, per diventarne cittadini».
Il nostro Manifesto sottolinea che saperi umanistici e ricerca scientifica non vanno intese come antagoniste. Si è anche visto che i ragazzi che sviluppano pratiche artistiche (pittura, musica, recitazione) raggiungono risultati migliori anche nelle materie scientifiche. «La cultura umanistica e scientifica hanno le medesime fonti storiche (dalla civiltà greca al Rinascimento), obbediscono alle stesse regole fondamentali della dialogica argomentativa e della discussione critica, hanno lo stesso ideale etico della conoscenza della verità. Ma, a partire dall'800, vi è stata la grande disgiunzione, per cui ognuna delle due culture possiede ormai le sue istituzioni, le sue modalità organizzative, i suoi esperti. E questa istituzionalizzazione delle due culture ha moltiplicato i saperi frammentati, chiusi su se stessi, monodimensionali, producendo la figura dell'"esperto", produttore di un sapere calcolatore e strettamente specializzato. Tuttavia le profonde metamorfosi delle scienze fisiche, cosmologiche, biologiche nel corso del '900 hanno creato le condizioni di una "rivoluzione paradigmatica", con la crisi del paradigma di separazione e di riduzione proprio della scienza classica e la gestazione ancora incompiuta di un paradigma di complessità (cumplexus: ciò che è intrecciato). Per questa strada, la scienza ha ritrovato le questioni fondamentali che si poneva la cultura umanistica e nella conoscenza complessa della scienza nuova l'uomo è riapparso come essere fisico-bio-antropologico-sociale. Così è divenuto possibile non solo il dialogo fra le due culture, ma lo stesso superamento della loro grave rottura, che è condizione indispensabile per produrre un sapere che sia all'altezza della sfide del nostro tempo. La vera cultura di cui abbiamo bisogno è una cultura della complementarità, e non più della disgiunzione, una cultura della dialogica tra homo prosaicus e homo poeticus, tra homo faber e homo ludens, tra homo oeconomicus e homo imaginarius».
Riflessioni affascinanti che ci indicano il senso del nostro lavoro, delle discipline, delle metodologie, delle tecniche, degli strumenti, inseriti in un ottica complessiva, che supera le frammentazioni e gli schieramenti...per tendere ad una finalità superiore che è quella formazione dell'uomo e del cittadino...
Morin continua dicendo che stiamo attraversando una nuova Preistoria, la chiama Età del Ferro dell'Era Planetaria, età di grandi furori e barbarie e insieme di grandi aperture e promesse....
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