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Per una nuova democrazia (parte terza)

Creato il 11 febbraio 2014 da Lundici @lundici_it
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Ad ottobre del 2013, con l’approvazione del famoso emendamento penta stellato in Commissione Giustizia al Senato che avrebbe dovuto abolire il reato di clandestinità, il dibattito sulla democrazia diretta e sul suo reale significato è salito di tono.

I cittadini iscritti al Movimento Cinque Stelle hanno cominciato finalmente a mettere alla prova la loro reale coscienza/conoscenza del fine ultimo di tale movimento politico: la democrazia diretta. L’emendamento ha visto infatti la reazione di Beppe Grillo e Casaleggio che, con decisione dirigista, hanno indetto la consultazione on line degli iscritti per appurare l’opinione di quest’ultimi riguardo al reato di clandestinità. È opportuno ricordare che, con l’emendamento dei portavoce grillini al Senato, non si elimina

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il reato di clandestinità ma lo si muta in illecito amministrativo evitando di iscrivere nel registro degli indagati individui per il solo fatto di esistere. Ma quest’ultima è un’opinione di chi ha votato SI nella consultazione on line sul sito ufficiale del M5S (avvenuta il 13 gennaio scorso), ovviamente. Molti hanno pensato, votando il NO nel quadro della medesima consultazione, di ritenere indispensabile che il reato non volgesse in qualcosa di diverso perché convinti che fosse l’unica via per ovviare alla dirimente questione dell’immigrazione nel Belpaese e non solo (il referendum svizzero insegna). Certo, vi è stata scarsa e malevola informazione – ad un certo punto sembrava che il Cinque Stelle volesse accogliere l’Africa intera oppure sparare alle frontiere, in base alla fonte d’informazione -, e vi è stato camuffamento della vera ratio dell’emendamento che ha il meritorio compito di provare ad evitare l’ingolfamento nelle aule giudiziarie di poveri diavoli a cui la vita non ha regalato un ex grande paese che adesso vive di welfare famigliare, l’Italia per l’appunto. Per la cronaca, hanno vinto i SI.

Dopo la votazione in Aula (al Senato, nel gennaio scorso) del ddl “pene alternative” con il suddetto emendamento che prevede la depenalizzazione dell’immigrazione clandestina e la sua trasformazione in illecito amministrativo, il tema sembra ormai lontano mille anni luce scalzato dagli insulti alla Boldrini e dalla violenza fisica subita dalla grillina Loredana Lupo, sebbene il problema politico sotteso, ossia la democrazia diretta, rimanga ad ora lo snodo fondamentale da cui si muoverà, o meno, il futuro di questo movimento di cittadini.

Fin d’ora, le prove concrete di democrazia diretta nel Movimento Cinque Stelle sono state la piattaforma, o sistema operativo, Lex, dove vengono discusse alcune proposte di legge presentate dai portavoce penta stellati, e i tavoli di lavoro, consessi di cittadini che liberamente si riuniscono (nei meetup) per proporre ai propri portavoce ipotesi di proposte di legge, interrogazioni, esposti eccetera. Su questi due perni, uno telematico, l’altro fattuale, la democrazia diretta ha cominciato ad avviarsi. Subendo, per la verità, alcune decalcomanie o scimmiottamenti, come la di piattaforma on line dell’onorevole pidina Puppato, o i tavoli di lavoro, chiamati in un

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accattivante inglese, OST, acronimo di open space technology (ossia tavoli tematici nei vari territori in cui si lavora in gruppo), organizzati dalla lista Sardegna possibile della scrittrice Michela Murgia. Prossimamente sugli schermi alle elezioni regionali sarde.

Francamente, ad ora, il risultato della democrazia diretta è quanto meno confuso. In ambito telematico, manca un ordine strutturato nell’iter di presentazione delle proposte da parte degli iscritti al Movimento; inoltre, vi è solo la possibilità di discutere proposte di legge di natura parlamentare (avanzate e scritte dai portavoce in Parlamento), mentre manca il movimento inverso (bottom up), dal basso verso l’alto, vale a dire che non è possibile caricare sulla piattaforma Lex proposte di legge create da un cittadino o da cittadini iscritti al Movimento. In campo fattuale, l’esperienza dei tavoli di lavoro può ovviare alle mancanze della piattaforma Lex con la strutturazione di proposte o atti da indirizzare direttamente alle Istituzioni attraverso i portavoce in Parlamento, sebbene questa dinamica non sia ancora compiutamente efficace e rodata – rappresenta comunque, al di là del Movimento, un’esperienza di aggregazione sociale, culturale e politica impagabile, degna della commedie humaine di Balzac.

Da queste due modalità dovrà, per forza di cose, evolversi o regredire la democrazia diretta agognata dai Cinque Stelle. Se il progetto sarà vincente, porterà a forme sempre meglio organizzate di partecipazione diretta dei cittadini nel contesto politico, culturale, economico in cui vivono. Se il progetto imputridirà, magari produrrà una buona classe dirigente (con la questione morale finalmente al primo posto), qualche cavallo di razza (checché se ne dica, tra i portavoce, vi sono ottimi elementi già pronti per una esperienza di governo), ma fallirà il suo precipuo compito di completamento della rivoluzione politica del nuovo millennio: la democrazia diretta, applicata e non unicamente utopia mutuata, letterariamente, dalle teorie di Rosseau et similia.

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Nella seconda ipotesi, con il fallimento del progetto penta stellato, l’Italia, Paese avanzato rispetto ad altri sul cammino della democrazia diretta (ed è una bella notizia a prescindere dal credo politico di ciascuno), rafforzerà ancor di più la sua natura conservatrice, utilizzando stancamente gli stilemi novecenteschi della politica: un leader, una classe dirigente, un apparato e gli elettori. Con il beneplacito dei sostenitori dello status quo (democrazia rappresentativa) e della figura del leader “solo al comando”. Ipotesi, peraltro, che non troncherebbe affatto le ali al Movimento, tuttavia facendo emergere il lato più classico del consenso politico. Esso potrebbe sempre consolidarsi in un modello tradizionale dove la democrazia diretta e partecipata sono accantonate, in favore di un leader (qualcuno dei portavoce Cinque Stelle più presenti in TV), una classe dirigente (gli attuali portavoce e qualche attivista più in vista), un apparato (meetup divenuti vere e proprie sezioni di partito) e gli elettori (non più partecipanti attivi ma semplici militanti o cittadini che si limitano a scegliere nell’urna). In un mondo dove a trionfare sarebbe il tifo e il prontuario penta stellato, citato in default (magari in un talk show) e generatore di sguardi convinti e applausi scroscianti, “il ministro dell’economia può farlo anche la casalinga”, “uno vale uno”, “i parlamentari non sono rappresentati ma semplici portavoce”, “da sempre seguo il blog di Beppe”, “Casaleggio è un genio”, “Di Battista è un grande”, “Di Maio piace a mia mamma” eccetera, eccetera. Come un elettore del PD che si nutre di “diritti civili”, “quote rosa”, “articolo 18″, “ma anche”, “la cultura va salvaguardata” “siamo l’unico partito democratico” ecc.; o come l’elettore di Forza Italia con i suoi “Berlusconi è un grande imprenditore”, “toghe rosse”, “Ruby era maggiorenne”, “la libertà”, “le tasse non vanno pagate” ecc. Un mondo vecchio, molto televisivo, poco democratico, molto clientelare, per nulla obiettivo, post-ideologico ma nostalgico dell’ideologia tradotta, a differenza del Novecento, in slogan pubblicitari e poco più.


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