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Per Vizio di Mente – Reprise

Creato il 24 aprile 2013 da Olineg

La notizia è passata un po’ in sordina, sintetizzata come “decreto per la chiusura degli opg” presentato dal governo giusto un mese fa e approvato dal Senato il 10 aprile di quest’anno. Ma il decreto n° 24/2013 non è il primo atto che prescrive la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari; infatti la commissione giustizia del Senato aveva già approvato nel 2012 la chiusura degli stessi entro la data del 31/3/2013, mentre il decreto succitato ne rinvia gli effetti al 1/4/2014. Per coloro che non sanno cosa sia un Opg, incollo questo breve articolo scritto nel 2010:

Per Vizio di Mente – Reprise
Ci sono dei detenuti, o meglio, dei soggetti affidati alla custodia dello Stato, che non hanno mai usufruito, e mai potranno farlo, di amnistie e indulti; sono gli internati negli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari), che paradossalmente sono considerati dalla legge innocenti, pur avendo commesso materialmente un reato non sono imputabili per “vizio di mente”, incapaci di intendere e di volere, e la detenzione negli Opg è interpretata come una forma di tutela del soggetto e della società, e non di pena. La legge 180, quella che ha chiuso i manicomi, è una norma in materia sanitaria, mentre gli Opg rispondono alla giurisdizione penitenziaria, in sintesi, come molti sostengono, gli Opg sono gli ultimi manicomi, nello specifico manicomi criminali. In Italia ve ne sono 6; Aversa (Ce), Barcellona Pozzo di Gotto (Me), Castiglione delle stiviere (Ma), Montelupo Fiorentino (Fi), Napoli, Reggio Emilia. In totale 1547 internati contro 1322 di capienza massima. Per quanto le condizioni dei detenuti in carcere siano drammatiche, quelle degli internati lo sono di più. In Opg si finisce con una condanna-non-condanna di 2, 5 o 10 anni, di volta in volta prorogabili se il soggetto non presenta miglioramenti sostanziali. Si esce solo quando si è guariti, quando si è guariti da soli; il giornalista Dario Stefano dall’Aquila, agli inizi del 2007, fece una “irruzione civica” nell’Opg di Aversa insieme all’allora deputato di Rifondazione Francesco Caruso, vi trovò uno scenario pre-basagliano, con soggetti in grave stato di salute, fisico prima che mentale, nell’ospedale di Aversa il personale medico-psichiatrico non era assunto, gli psichiatri avevano delle consulenze a ore, dividendo il monte ore per gli internati si aveva una media di 12 minuti a settimana di assistenza psichiatrica. Dodici minuti. Un “soggiorno” in Opg di 2 anni può trasformarsi in una privazione a vita della libertà. “Fine pena mai”, come dicono gli ergastolani. E questo senza avere alcuna colpa. O meglio, la colpa c’è, ed ha l’aspetto di uno strato di lerciume depositato negli anni e nascosto sotto il tappeto della decenza. Non è vero che quello del disagio mentale è un vicolo cieco. Non è vero che il manicomio criminale è l’unico strumento in caso di reati compiuti da soggetti psicotici. La metà degli internati ad Aversa è lì per reati contro il patrimonio, non per delitti, soggetti non pericolosi, soggetti accoglibili in strutture a misura d’uomo, come previsto per i “disagiati non penali”. Solo nel 2003 la Corte Costituzionale ha ritenuto incostituzionale la parte dell’articolo 222 del codice penale che imponeva al giudice di non adottare strade “alternative” all’Opg, come la custodia a comunità qualificate, come succede per i tossicodipendenti. Una superficialità legislativa dovuta al fatto che il malato psichiatrico, sottoposto o meno a processo, è comunque colpevole di un reato, quello della malattia; i matti, insieme ai vecchi, ricordano al resto del mondo la miseria e la precarietà della condizione umana. I nazisti li uccidevano, noi ci limitiamo a ignorarli.

Didascalia alla foto: il soggetto ritratto è Michael “Charles Bronson” Peterson, da molti ritenuto il più famoso detenuto inglese, a lui è dedicato un film di Nicolas Winding Refn intitolato per l’appunto “Bronson”. Detenuto difficile e violento venne, come spesso capita, “parcheggiato” in un manicomio criminale per potersene liberare per sempre, in quanto quello della prigione dei pazzi è l’unico vero modo di “buttare la chiave”.



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