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Perché “anche Eva Mendes è alta 1,65″ (ovvero tutto ciò che devi sapere sui complessi di inferiorità).

Creato il 29 dicembre 2012 da Larablogger @laratorres83

Eva_Mendes_227290757Perché il sottotitolo del mio blog è “anche Eva Mendes è alta 1,65″? Perché io sono alta 1,65 (senza tacchi eh) e perché funga da lezione costante al mio inestinguibile complesso di inferiorità.

Cito dal dizionario medico del corriere.it.  Complesso di inferiorità: “Penosa impressione di essere inferiore agli altri o, meglio, a un ideale desiderato”. Penosa, addirittura. Visto che questo blog, lo avrete intuito, è il mezzo per esorcizzare mie debolezze e paure, il post di oggi lo dedicherò a questo mio disagio.

Questo complesso nasce quando il mettersi in discussione passa il segno per sfociare in una aprioristica critica del proprio operato e della propria essenza. In una parola, un-bel-casino. La sensazione si acuisce quando ci si trova in un gruppo di persone che nella maggior parte dei casi ti scambierà per la timida della compagnia (parlo per me ovviamente) o (peggio ancora) per la “snob”, con la puzza sotto il naso “che ce l’ha solo lei” (per dirla alla Freud).

Ma non funziona così. Quindi vengo in aiuto alla tribù dei complessati e lascio a chi invece ignora l’esistenza di tale disagio una guida per comprendere i segnali dei disagiati e aiutarli a venir fuori dal guscio. Ecco i segnali:

1) Il silenzio del complessato. Non confondetelo per una sorta di distacco nobiliare. Stare in silenzio per noi complessati equivale a lanciare una richiesta d’aiuto, il più assordante degli SOS. Nella maggior parte dei casi gli occhi dicono molto di più che una bocca chiusa.

2) Il sorriso paretico. I complessati cercano in tutti i modi di incontrare il gusto altrui, è il loro viatico per l’accettazione. Quale miglior modo per farlo che stampandosi un bel sorrisone a mo’ di emiparesi facciale? Provate a pungere le loro guance con uno spillone, l’espressione non cambia. Anche quando mangiano la forchetta fa fatica ad oltrepassare l’arcata dentale. Secondo voi perché i complessati sono pure un po’ magri?

3) Il colpo della strega. Avete mai notato la postura assunta da un complessato di inferiorità? E’ rigida, rimane identica a se stessa per tutto il tempo di interazione. Sapete cos’è quella rigidità? La sua preziosa corazza, l’unica arma di difesa contro il giudizio altrui. Giudizio che però arriverà puntuale e spietato come un gong alla fine di una gara di pugilato. Vi lascio immaginare chi andrà knock-out. Ad ogni modo consiglio ai complessati di assumere la mia posizione preferita: gambe accavallate, mani incrociate e strette tra le gambe, testa inclinata su un lato con fare conciliante. E’ la più comoda (ma sono in inverno. In estate le mani si incollano).

4) Il soliloquio mascherato. Il complessato è di poche parole. Ma sbaglia chi scambia questa mancanza di loquacità per avarizia di condivisione. Le parole sono poche perché si teme di non essere all’altezza delle parole altrui. Si, perché agli occhi del complessato gli altri appaiono watussi alti almeno 1,75 (senza tacchi) con tanto di laurea incorniciata sulla parete dietro di te (“a ricordarti che tu, cara Lara, laureata non lo sei” – “però lavoro da 7 anni eh” – “si ma ‘mo ti hanno licenziata” – “vabbè è un dettaglio”), con una parlantina degna di Paolo Bonolis al gioco dei pacchi.  Quindi il modo più semplice per dar via un dialogo è scegliersi una persona di pari rango, un altro complessato. Vediamo, chi può essere?! Ma sempre tu, naturalmente. Non resta che parlare con se stessi con la speranza che qualcuno per sbaglio ti chieda “hai detto qualcosa?!” – “Nulla di importante, pensieri ad alta voce”.

5) Il saluto criptico. Finisce la serata. E’ uno di quei momenti che al complessato appaiono alla stregua di un duello. Vuoi dire qualcosa, devi dire qualcosa. Che sia un epitaffio che faccia ricordare di te, che faccia ricredere gli altri rispetto alla tua frigidità emotiva. L’indice si riscalda, pronto a premere il grilletto della battuta del secolo. Primissimo piano sugli occhi leggermente strizzati dala tensione. L’altro, sicuro di sé, esordisce con un “Ciao… come hai detto che ti chiami?” e tu “Lara, mi chiamo Lara” – “Scusami, sai c’è casino … Allora buonanotte Laura” – “(se vabbè) Sssi, buonanotte a tutti… allora ciao, beh ehm… alla prossima”.
Un’altra occasione mancata per quella freddura che avresti dovuto dire al momento giusto, ma avrebbe fatto ridere? Mah, forse no… ehm ciao.

larablogger


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