“Lanciamo un appello al governo francese … affinché prenda consapevolezza della deriva antidemocratica d’un regime che … è indirizzato verso il totalitarismo” (Libération, 19/11/2007).
“I principali osservatori indipendenti che hanno analizzato con attenzione la gestione di Chávez coincidono sul fatto che la autocrazia eletta bolivariana assomiglia ogni giorno di più a una normale dittatura” (El Mundo, 16/2/2009).
“‘Perchè il Campidoglio offre il suo patrocinio a una mostra a Roma sul dittatore Chavez?’ ha chiesto Giulio Santagata del Pd annunciando un’interrogazione parlamentare al ministro degli Esteri” (Repubblica, 2/3/2012).
All’indomani della vittoria elettorale di Hugo Chávez sul candidato dell’opposizione Capriles Radonski, la stragrande maggioranza dei media europei non parla più di un Venezuela in cui è assente la libertà d’espressione, i toni di giornali, radio e televisioni non sono più così aggressivi come lo sono stati per ben 13 anni. Davanti alla prova del voto e alla sconfitta accettata dalla stessa opposizione, i media non possono più mentire. Oggi hanno messo da parte le descrizioni caricaturali e tendenti a ridicolizzare il presidente venezuelano e, senza indurre al sospetto della frode elettorale, hanno riconosciuto il risultato ottenuto all’interno di un sistema pienamente democratico con un’altissima affluenza (80,72%) (http://www.cne.gob.ve/resultado_presidencial_2012/r/1/reg_000000.html).
Questi stessi media che fino a qualche mese fa presentavano Chávez come un dittatore pazzo e spietato oggi moderano il linguaggio riconoscendo i benefici dei programmi sociali che hanno ridotto la povertà, l’analfabetismo, dato una casa e una terra a chi non l’aveva, prestato cure mediche e fornito pensioni, assistenza e micro-crediti alle fasce della popolazione più debole.
I mezzi di comunicazione europei, sempre molto prodighi in critiche durissime sul governo bolivariano, oggi puntano il dito sull’attuale dipendenza del paese caraibico dall’estrazione petrolifera (i cui proventi secondo dati dell’opposizione si agirerebbero tra l’85 e il 90% del Pil), un obiettivo su cui lo stesso presidente ha ammesso di essere rimasto indietro (http://internacional.elpais.com/internacional/2012/10/06/actualidad/1349547617_084819.html; http://www.guardian.co.uk/world/2012/oct/02/hugo-chavez-strongmans-last-stand?INTCMP=SRCH). Questa tipologia di analisi dimostra come i media europei non contestualizzino affatto i problemi dei paesi esteri descritti. D’altronde non vi è mai stato spazio per una semplice domanda: se l’Europa fosse la più grande riserva di petrolio al mondo (come è il caso del Venezuela), quale sarebbe la sua storia e il suo presente? Se in Europa dall’inizio del ‘900 ad oggi fossero stati estratti centinaia e poi miliardi di barili di oro nero al giorno, gli italiani sarebbero stati tra i pionieri dell’industria tessile? I tedeschi tra i grandi produttori di automobili? I francesi tra i primi a sviluppare il settore terziario? Gli spagnoli avrebbero assistito a una massiccia espansione dell’edilizia?
Oggi non si discute più sull’enorme importanza che il governo Chávez ha rivestito nella politica sudamericana e nella definizione dei rapporti politico-commerciali del continente con l’Europa e gli Stati Uniti. La vittoria del candidato Capriles avrebbe implicato un gigantesco cambiamento nell’equilibrio delle Americhe: un’altra opinione condivisa dai media che fino a qualche settimana fa erano portavoce dell’idea ‘Chàvez dittatore’.
Oggi quasi tutti riconoscono il presidente venezuelano come creatore e propulsore di una politica estera fondata su quattro principi fondamentali: autonomia e coesione del continente sudamericano, fine ai trattati di libero commercio con gli Usa e ricerca di nuovi mercati, stop all’indebitamento con il Fondo monetario internazionale e imposizione di un notevole aumento del prezzo di vendita del greggio e di altre risorse naturali (http://www.isri.cu/publicaciones/articulos/2007/0907.pdf). Decisioni che hanno avuto degli impatti notevoli e spesso non favorevoli alle economie dei paesi ricchi del mondo. Nel 2000 all’interno dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) Chàvez è stato infatti uno dei promotori di una riduzione dell’offerta di greggio sul mercato finalizzata a determinarne l’aumento del prezzo. Non sarà per questo motivo che il presidente bolivariano è inviso all’Occidente, più che per un’ipocrita limitazione dei diritti umani proclamata dai media?
In Europa si tende a dividere i paesi del mondo in due blocchi troppo semplicistici, quelli buoni e quelli proscritti: ai primi è riservato un ottimo trattamento mediatico mentre ai secondi uno pessimo, e per decidere se il paese finisce nella prima o seconda lista si utilizza principalmente un paramentro, la libertà d’espressione. Escludendo le settimane pre e post-presidenziali in cui il Venezuela è stato relativamente graziato dalla mannaia dei giudizi negativi, il paese fin dal 1999 è sempre stato messo all’indice dai media europei e comparato alla Cina in quanto a censura (http://cnnespanol.cnn.com/2012/07/17/el-gobierno-de-chavez-coarta-libertad-de-expresion-dice-human-rights-watch/). All’inizio del terzo mandato del leader bolivariano, sembra necessario fare un quadro della reale condizione dei diritti civili, proprio quelli su cui giornalisti, politici e intellettuali occidentali hanno infierito di più riservando al governo l’appellativo di “regime”.
Bastano dieci minuti davanti a un giornalaio in Venezuela per rendersi conto che vi è un solo quotidiano nazionale pro-governo, il “Correo del Orinoco” fondato solo nel 2009 con una tiratura di 50 mila copie, mentre tutti gli altri sono pro-opposizione, ed in particolare il più letto nel paese, “Ultimas noticias” con una tiratura sei volte maggiore dell’omologo chavista, è di proprietà della famiglia Capriles (www.ultimasnoticias.com.ve/lamarca.aspx). I titoli di giornale venezuelani (es. Venezuela, fra la democrazia e la dittatura, El Universal, 20/01/2010), non solo si contrappongono radicalmente alla visione governativa, ma sono la prova di come non vi sia nessuna limitazione alla libertà di stampa. Mentre in Venezuela si assiste a un’estrema polarizzazione dei media, in Europa si osserva una pericolosissima uniformità dell’informazione su numerosi argomenti, come è il caso delle opinioni sulle politiche di austerità o sui casi della Siria e della Libia. Il ruolo dei media è alimentare il dibattito costruttivo sulla realtà in cui viviamo, fare informazione significa dare spazio a soggetti e fonti diverse e non di certo allinearsi su una posizione univoca. L’Europa può quindi arrogarsi la veste di giudice delle libertà altrui?
Per quanto riguarda lo spazio radiofonico vi sono numerose radio nazionali e locali private di opposizione (circuito Exito, Belfort, FM center ed altre) che raccolgono la maggioranza dell’audience e, oltre alla radio nazionale pubblica “Nacional de Venezuela” e quella della capitale “Alba Ciudad”, le onde sono occupate da una miriade di piccole radio comunitarie pro-Chávez che sono ascoltate spesso in zone molto circoscritte. Con un rapido zapping davanti alla televisione si può verificare la maggioranza numerica di opinioni anti-chaviste: vi sono oltre dieci canali privati nazionali e regionali di opposizione e cinque canali pubblici filo-governativi (Antv, Vtv, Tves, Telesur e Vive tv). In Italia si tenta di presentare la Rai come un osservatore imparziale della realtà, sebbene mostri un palinsesto cangiante secondo il governo in carica, mentre in Venezuela i ruoli sono chiari: la televisione privata mostra unicamente l’opinione politica dell’opposizione e spesso disprezza quella dell’esecutivo; in contrapposizione, la televisione pubblica rappresenta la visione bolivariana. Ascoltando le due voci posizionate una agli antipodi dell’altra, il cittadino si costruisce una propria idea della realtà ed è in grado di scegliere il partito in cui si identifica (Psuv o Mud). Dal canto loro i venezuelani non hanno abbandonato le abitudini precedenti all’arrivo di Chávez ed infatti il canale più visto continua ad essere la privata ‘Venevisión’ con una programmazione composta principalmente da telenovele (http://www.conatel.gob.ve/). Per quanto riguarda il cinema, il pubblico ha totale libertà di fruizione, considerando che una delle due distribuzioni cinematografiche nazionali è di proprietà di Capriles e che le sale appartenenti alla rete pubblica sono veramente esigue. Un’altra prova della libertà vigente nella produzione cinematografica proviene dagli studi della “Villa del Cine” fondati nel 2006 dove sono stati realizzati sia film di orientamento politico affine al governo (“Francisco de Miranda”), sia opposto (“Habana Eva”).
Per quanto riguarda la libertà di parola, associazione e manifestazione, basta guardare la campagna elettorale di Capriles durante la quale il candidato si è spinto nei quartieri considerati bastioni del “chavismo” mobilitando anche migliaia di persone, o osservare la quantità di cartelli e bandiere con i colori dell’opposizione appesi dai cittadini ai balconi. Tendenziosa la notizia sparsa sui media secondo cui il credo politico dei cittadini limiti il diritto di accesso ai servizi pubblici come la proprietà di una nuova abitazione conseguente alla semi-distruzione o insalubrità della propria, i trasporti con prezzo calmierato, le cure mediche specializzate. Basta recarsi nel nuovo edificio costruito a seguito delle inondazioni per gli sfollati in pieno centro storico ai piedi del monumento “El Calvario” per ascoltare lo slogan dell’opposizione: “C’è una strada”.
Il Venezuela non si caratterizza quindi affatto per la restrizione delle libertà dei cittadini e ne è prova la delinquenza, una piaga che dimostra la carenza di controllo dello Stato sulla popolazione, troppo libera di infrangere le leggi. Per analizzare l’insicurezza e l’altra principale problematica, l’inflazione, è totalmente fuori luogo il paragone fatto da vari media con l’Europa ed è necessario collocare il Venezuela all’interno del suo continente definito dalla dottrina Monroe del XX secolo: “il cortile di casa” degli USA e privo di autonomia nelle scelte economiche.
L’inflazione galoppante, che secondo stime del governo si è attestata al 27% annuale nel 2011 (http://www.bcv.org.ve/c4/notasprensa.asp?Codigo=9609&Operacion=2&Sec=True) e secondo i partiti dell’opposizione al 40%, è un flagello per tutte le classi sociali: i piccoli e medi imprenditori hanno difficoltà a programmare una strategia e stilare un preventivo, pur con un aumento annuale dello stipendio minimo imposto dalla legge gli impiegati hanno difficoltà ad arrivare alla fine dell’anno, mentre i grandi imprenditori risolvono il problema cambiando i guadagni ottenuti in bolívares in valuta stabile (euro e dollaro) ed esportando i propri capitali all’estero, azione vietata dalle legge ma tollerata.
Il governo bolivariano in 13 anni non è riuscito a ridurre la criminalità delle principali città del paese dove si registrano in comparazione con altri paesi latinoamericani alti tassi di omicidi, di sequestri di persona, di rapine e di feriti da arma da fuoco (http://www.elcorreodelorinoco.com/?p=2945). Come non si può nascondere che ancora oggi molti bambini dei quartieri poveri hanno facilmente accesso a una pistola e che la popolazione di tutte le classi sociali vive tenendo stretta la sua borsa, non si possono dimenticare le azioni adottate dal governo contro la violenza: la creazione di una nuova polizia nazionale bolivariana (Pnb), non corrotta come la “Metropolitana” eliminata nel 2010; la costituzione di un’università sperimentale che prepara i pubblici ufficiali ad esercitare il proprio mestiere e l’emanazione di una legge che impone la numerazione delle pallottole assegnate ai funzionari di polizia.
Secondo molti media europei, i dieci punti di vantaggio ottenuti da Chávez su Capriles (16 di meno rispetto a quelli ottenuti sull’allora candidato dell’opposizione alle presidenziali del 2006) sono il frutto delle politiche governative definite “populiste” e “assistenzialiste”. Con tale giudizio si omette di rilevare che in dieci anni il tasso di povertà è diminuito di oltre il 30% e si evita il paragone con gli anni ’90 segnati da un tasso di povertà estrema pari al 22% e una grave carenza di servizi pubblici (http://hdrstats.undp.org/fr/pays/profils/VEN.html). Impiantare dei servizi non è stata quindi una pratica assistenzialista, bensí una misura di redistribuzione della ricchezza, ragion per cui il Venezuela si attesta al terzo posto in America latina per minore tasso di povertà (http://www.eclac.cl/cgi-bin/getProd.asp?xml=/prensa/noticias/comunicados/8/45168/P45168.xml&xsl=/prensa/tpl/p6f.xsl&base=/tpl/top-bottom.xsl).
Perché i venezuelani hanno rivotato per il leader bolivariano? Alcuni perché hanno visto costruire una fermata della metro davanti alla loro casa, altri perché si sono potuti comprare una macchina, altri perché hanno ritrovato la vista, ma principalmente perché hanno ritrovato l’orgoglio di essere venezuelani. Dopo aver regalato ai suoi cittadini la possibilità di costruirsi un futuro e immaginarne uno ancora migliore per i propri figli, una speranza che gli europei stanno perdendo, Chávez oggi raccoglie due grandi sfide: governare un paese con una stratificazione sociale ben diversa da quella del 1998 e rappresentare, nel mondo multipolare che ha contribuito a edificare, un modello alternativo alla sinistra occidentale.