Perché chiamarla antipolitica?

Creato il 19 maggio 2012 da Giovanni Fonghini @giannifonghini
Leggo spesso articoli ed editoriali che usano il termine antipolitica per definire lo scollamento e la disaffezione di tanti cittadini verso i partiti e le istituzioni pubbliche in genere. Più che di antipolitica parlerei di un giusto e legittimo risentimento di chi, in tempi di crisi e tagli pesantissimi alle protezioni sociali, vede che i privilegi della casta politica non muoiono mai.
I pensionati dei 500 euro al mese, i giovani disoccupati, gli esodati senza stipendio né pensione, i lavoratori con i contratti non rinnovati da anni, quelli che vedono allungarsi sempre di più l'età della pensione hanno tutte le ragioni per non amare la politica italiana, che, tolte alcune lodevoli eccezioni, si è dimostrata incapace di ascoltare la voce dei cittadini e non ha saputo in modo efficace risolvere nemmeno uno dei problemi che opprimono l'Italia. Ogni giorno siamo costretti ad ascoltare autorevoli appelli di civismo, che ci ricordano che tutti dobbiamo fare il nostro dovere. Ma loro, i ministri, i parlamentari, i componenti dei consigli d'amministrazioni delle società pubbliche, partecipate dallo stato, degli organismi pubblici e tanti altri lo fanno il loro dovere? Non si sono resi conto che sono dei privilegiati di lusso? La stragrande maggioranza di noi sta vivendo momenti di difficoltà e di preoccupazione: la mancanza di lavoro per i figli, il dramma per chi lo perde, il fisco voracissimo, la casa - mi riferisco soprattutto alla prima, il tetto sotto il quale viviamo - che diventa un lusso, un limone dal quale spremere ogni goccia, i piccoli imprenditori lasciati soli, abbandonati dalle banche e vessati dalle cartelle esattoriali. Può bastare? Perché definire antipolitica il disagio e l'indignazione che crescono in maniera esponenziale? La politica del rigore e del pareggio di bilancio applicata ragionieristicamente in maniera avulsa da qualsiasi altra considerazione relativa alla comunità nazionale finirà per massacrare lo stato sociale e il popolo. I partiti tornino a svolgere la loro funzione di ascolto delle istanze dei cittadini, la smettano di accettare supinamente gli ordini della Troika Bce-Ue-Fmi e le valutazioni mai disinteressate delle agenzie di rating (anche Casini recentemente ha forse aperto gli occhi parlando di "disegno criminale" a proposito del loro operato). Le battute inopportune del governo dei tecnici stanno superando quelle del precedente governo berlusconiano: il posto fisso che è noioso (magari trovarlo), i suicidi della Grecia che sono più numerosi di quelli italiani. Ci siano almeno risparmiate le loro apparizioni quotidiane in tv. A far loro buona compagnia non mancano gli opinionisti "grandifirme", che continuano a parlare di un'Europa da amare e da rispettare. Dovremmo essere autolesionisti per amare questa loro Europa. Credo di non essere il solo a non amare l'Europa dei banchieri e degli euroburocrati, che continua a chiederci grandi sacrifici, salvo poi scoprire che i sacrifici li stanno facendo i soliti noti, ovvero noi cittadini. I privilegi delle caste non sono stati minimamente intaccati, anzi spesso con generosità se ne regalano di nuovi. In casa nostra poi la situazione è aggravata dalla macchina dello stato, severa e matrigna con i più deboli, accondiscendente con i forti. Ora se si vuole ancora chiamare antipolitica l'indignazione della "gente" si faccia  pure. Ma a sembra un'analisi molto superficiale.
Giovanni Fonghini
P.S. l'indignazione da sola non basta, deve diventare costruttiva (ma questo non è facile e nessuno ha la ricetta in mano)

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