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Perché essere grati a Wyslawa Szymborska

Creato il 25 febbraio 2012 da Sulromanzo

Perché essere grati a Wyslawa SzymborskaQui giace come virgola antiquata l’autrice di qualche poesia.”

Così inizia l’Epitaffio, poesia di Wyslawa Szymborska tratta dalla raccolta La gioia di scrivere edita da Adelphi e tradotta da Pietro Marchesani. Lo stesso Marchesani che per anni ha curato (e mai verbo è stato più adatto nel suo duplice significato) la traduzione delle opere della grande poetessa polacca, emblema di quel paese che Marchesani ha amato e ha contribuito a far conoscere in Italia, regalando al lettore le emozioni cui aveva diritto.

Qualche mese fa Marchesani si è spento a Genova e da pochi giorni è scomparsa (in corpo, ma non in emozioni) a Cracovia Wyslawa Szymborska. Un connubio artistico che durava dagli anni ’80, da quando Marchesani si cimentò con la traduzione della raccolta di poesie Gente dal Ponte edito da Scheiwiller, per poi non riuscire più ad abbandonare le forti suggestioni della Szymborska, il suo amore per la vita, la sua attenzione per ciò che le si fermava accanto, soprattutto per le piccole, apparentemente insignificanti venature di noi che il mondo insistentemente le restituiva. Scrivere per la Szymborska era la “salvezza”, come ci racconta nella sua inappellabile A qualcuno piace la poesia, era la nostra salvezza, perché attraverso la sua attenta e meticolosa scelta delle parole, potevamo accedere ad un universo più lento, in cui la capacità di percepire ciò che ci circonda diventa necessità e al contempo parte integrante di un percorso che ci porta dal “piccolo”, al “banale” fino al “noi” e a tutto ciò che Wyslawa Szymborska ci ha costretto a guardare.

Harold Bloom sostiene che bisogna comunque essere grati allo scrittore, perché, senza di lui, noi lettori non avremmo uno scopo. Personalmente faccio partire la mia gratitudine verso Wyslawa Szymborska dalla raccolta Vista con granello di sabbia, edito da Adelphi nel 2004, traduzione di Marchesani, di cui ricordo anche la copertina, impressa nella mia mente dalla lettura che venne dopo. Mentre la osservavo, rigirandomi il volume color salmone fra le mani e tentando di capire cosa avesse a che fare l’opera di quell’autrice dal nome che sembrava un anagramma con quella strana immagine scelta da Adelphi per riempire l’unica concessione che quest’editore permette all’occhio del lettore, il libro si aprì mostrandomi il suo centro. Io feci allora ciò che più amo fare con la poesia, esercitare tutta la libertà di cui ancora dispongo e iniziare la lettura senza soffermarmi sull’introduzione e men che mai sulla visione critica che il dotto di turno mi presenta come unica e inappellabile interpretazione del verbo autoriale.

Solo parole, scampoli di idee, negate concessioni alla razionalità dilagante, sentieri poco battuti su cui testarmi e boschi narrativi in cui perdermi senza timore del tempo che sarà necessario per superarli.

Non sempre le mie giocose aspettative vengono soddisfatte, ma questa fu una lettura illuminata. Partii per un viaggio che ancora continua, iniziando a spostarlo quel granello di sabbia, a mio piacimento, a costruire l’universo che io di volta in volta osavo respirare.

La mia gratitudine quindi alla liberatrice Szymborska e alla sua domanda: “acchiappo la vita per una foglia, si è fermata? Se n’è accorta? Si è fermata almeno una volta?

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