Uno dei pregi più evidenti del “Show, don’t tell”, dopo che è stato assimilato in seguito a numerose letture, è che ti permette di badare al sodo. Se è diventato come l’aria che respiri (non è così semplice, me ne rendo conto), ti liberi di un bel mucchio di zavorra.
Alcuni credono che scrivere voglia dire spiegare come la pensano. Confezionano perciò delle storie dove non solo si percepisce lo scopo per le quali sono state redatte. Ma pure i fatti e le azioni sono spiegate per filo e per segno.
Scrivere vuol dire comunicare. Alcuni si ritraggono inorriditi all’udire una tale affermazione perché sa di pubblicità. Può darsi, ma visto che la pubblicità ricorre alle lettere dell’alfabeto, dovremmo forse abbracciare i segnali di fumo come forma di narrazione? Per non essere “contaminati”?
Raccontare una storia che funzioni vuol dire comunicare, e nient’altro. Però siccome è uno scopo troppo prosaico, le persone pensano che se qualcuno adotta una simile strategia è solo uno che bada al vil denaro.
Sbagliato: bada a comunicare.
Il buon Omero (ammesso che sia mai esistito), declamava le sue opere con tanto di accompagnamento musicale. Il suo pubblico erano i signori della guerra e la loro corte, gente dal palato difficile (o forse senza palato). Non si resisteva a lungo accanto a una compagnia del genere se non si sviluppava una capacità di comunicare, una tecnica in grado di sedurre uomini che consideravano le greggi più importanti della moglie e delle figlie. I maschi, superfluo scriverlo, erano più importanti delle capre. E delle madri, certo.
Ammazzare nemici, d’altra parte, indurisce assai, e alla sera il povero Omero doveva essere capace di evitare che qualcuno della corte, carico di vino, sguainasse la spada per verificare se un poeta affettato è come gli altri uomini affettati.
Siccome non siamo più scimmie (be’, la maggior parte non lo sono più…) abbiamo questo dono che è la comunicazione. Come tutte le faccende che si usano tanto, alla fine si è portati a credere che sia solo robetta. Oppure, quando qualcuno pronuncia questa parolina, ci si ritira schifati.
Questo è male.
Una storia è sempre un ponte gettato per unire le persone. Certo, qualcuno rabbrividisce e lo considera un mezzuccio, e preferisce incamminarsi nell’aria, convinto che la sua determinazione gli permetterà di raggiungere l’altro versante per vie aeree e misteriose. Nell’attesa che risalga dal precipizio dove si è schiantato, e ci dica come è andata, perché non prendere in considerazione il grande pregio del “Show, don’t tell”?
Se realizzato come si deve, buona parte delle energie di chi scrive sono indirizzate non a chiarire, a spiegare, a illustrare: in una parola ad annoiare. Ma a mostrare. Come si dice? Una foto vale più di mille parole.
Lo so che una storia non è una foto. Però ho imparato che se mostro, avrò dalla mia parte un alleato potenzialmente importante: il lettore. No, non è lo schiavo di un sistema che fa dell’immagine il nuovo idolo (eccetera eccetera). Se devi spiegare vuol dire che non hai la padronanza dei tuoi mezzi. Punto.
Quando invece mostri, magari sbagli un dialogo, o più di uno: però almeno sei riuscito a comprendere che i sensi durante la lettura non sono anestetizzati. Proprio perché sono concentrati nella lettura, sono più ricettivi, e li devi conquistare tutti.
Perché molti lettori scendono alla stazione sbagliata della metro? Perché chi scrive li ha immersi nel suo mondo. Ha comunicato in maniera così determinata e risoluta che gli avvisi sonori del vagone non sono arrivati alle orecchie.
Ha comunicato, certo.