Da circa 20 anni nella mia famiglia serpeggia un interrogativo a cui né io né mia madre riusciamo a dare risposta: ma com’è che papà è fissato con Beautiful? Il mascellone di Ridge non fa presa su di lui, Brooke gli sta antipatica da sempre, la sua preferita era Taylor ma da quando si è rifatta faccia, tette e labbra non la guarda più con gli stessi occhi. Secondo me, mio padre ha solo voglia di spettegolare.
Gli intrighi familiari in TV hanno un sapore più avventuroso di quelli reali, e non è giusto condannare la voglia di evasione che arriva a un certo momento della giornata. Ed è questo il punto: la voglia di evadere arriva davvero alle 13.40 di ogni giorno oppure il cervello si è settato in modo da convincersi che sia così? Insomma: Beautiful è una stramba abitudine o la voglia di evasione è il bisogno che spinge verso la soap opera?
L’interrogativo è futile, lo ammetto, ma efficace per focalizzare quanto un bisogno possa essere tanto forte da creare strane routine. Quando tutto è cominciato, nessuno poteva prevedere che una soap opera potesse creare assuefazione – durare da oltre 20 anni – oggi invece è evidente che le vicende famigliari delle case di moda rivali hanno lo stesso fascino irresistibile che il nettare ha per le api.
Le prime puntate di Beautiful lasciavano pressoché impassibile mio padre, ma giorno dopo giorno, senza che lui se ne accorgesse, il suo cervello ha immagazzinato una serie di input che ancora adesso fanno scattare la voglia di vedere la soap.
Cos’è successo esattamente? Immaginiamo il cervello come una super cipolla: negli strati esterni troviamo le informazioni acquisite di recente, per esempio l’ultima news sentita dal TG o le istruzioni per aprire il nuovo packaging del formaggino senza il bisogno di una laurea. Negli strati più interni della cipolla, troviamo invece le informazioni ataviche, quelle che ci permettono di respirare, deglutire, muoverci come se niente fosse. Il cuore della cipolla, ossia del nostro cervello, è costituito dai cosiddetti nuclei della base che, tra le molteplici funzioni, servono anche a immagazzinare le informazioni più frequenti fino a farle diventare tanto meccaniche da essere scontate, o meglio, abituali. Ecco, l’abitudine nasce quando a un preciso input segue la routine in vista di una gratificazione.
Dopo il caffè, mio padre cerca istintivamente la bionda Brooke e l’arcigna Stefany perché ha abituato il suo cervello a questa routine. A fine puntata sarà soddisfatto di sapere un po’ di più degli intricati amori della Forrester e al tempo stesso non vedrà l’ora che arrivi domani per saperne dell’altro.
Quindi mio padre è vittima della sua abitudine? Beh, se solo lo volesse potrebbe sostituire quella di Beautiful con una nuova abitudine: invece della TV, potrebbe affacciarsi al balcone, fare un giro in piazza o aspettare che arrivino le allegre commari di mamma per l’immancabile caffè del pomeriggio. Ne scoprirebbe delle belle sui suoi compaesani e la voglia di evasione e pettegolezzi sarebbe bell’e soddisfatta.